PREFAZIONE

Parliamo della Malvizza, in questo nostro scritto che segue di circa un anno un altro che abbiamo dedicato a Tressanti. Tressanti e La Malvizza sono due contrade di campagna del nostro paese, Montecalvo Irpino, il quale ha un estesissimo territorio extraurbano. Esso abbraccia completamente il monte da cui prende nome il capoluogo e, uscendo dai confini naturali di alcuni torrenti che orlano a valle le pendici di questo monte, ingloba anche il colle di Corsano ad Ovest, la pendice settentrionale del colle su cui si estende Tressanti, a Sud, e, per ciò che più ci interessa ora,  ritaglia una larga fetta di una pendice montuosa chiusa tra due torrenti, ad Est, denominata Malvizza. La pendice della Malvizza può definirsi una quasi-pianura per i vasti pianori che ne rompono il dislivello soprattutto a mezza costa. Il corso d’acqua che separa le terre del capoluogo da quelle della Malvizza è il Miscano: un minuscolo fiume, asciutto per buona parte dell’anno, e un confine che, sulla scorta di quanto ci si è venuto a mano a mano svelando, è piuttosto un tratto d’unione che non una barriera tra il paese e la contrada. Perciò il titolo dato al nostro scritto. Questo però non ci impedisce di rilevare che i rapporti intercorrenti tra i residenti del capoluogo e quelli della contrada non sono così ottimi come sarebbe bene che fossero. Vi è più spesso manifestazione di interesse verso la comunità intera, voglia di partecipazione negli abitanti della Malvizza, che non nei montecalvesi cosiddetti di dinta (professionisti, negozianti, impiegati, insegnanti, gente dei mestieri). Agiscono forse ancora, nel profondo di questi ultimi, vecchi schemi di distinzione di classe, se non razzistici, verso i contadini residenti in un territorio dove vigevano rapporti crudi e duri tra proprietari latifondisti e loro amministratori (massari), da una parte,  e braccianti e addetti agli animali, dall’altra. Schemi che però oggi vengono negati. In buona fede, più che per ipocrisia. Anche perché la gente della Malvizza sta cambiando e diversificando le proprie attività economiche e professionali, con intraprendenza maggiore di quella dei loro compaesani del capoluogo. Noi però non abbiamo deciso di scrivere questa storia della Malvizza per rimediare a un qualche iato, anche se crediamo che esista. Il nostro intento è prima di tutto conoscitivo. Speriamo che la verità da noi ricercata nella storia di lungo periodo faccia emergere la comunanza tra i destini del capoluogo e quelli della contrada, nella dimensione reale dell’economia tradizionale (che oggi assume nuove forme), della cultura etnologica e civile, in breve, nella dimensione della nostra storia plurisecolare, così che questa verità, conosciuta un po’ meglio di quanto non sia stata sino ad ora,  possa diventare patrimonio culturale di tutta la nostra comunità.

      La Malvizza è la protagonista di questo libro, anche se abbiamo dovuto necessariamente includerla in un disegno più vasto, dentro il quale essa, con le sue particolari vicende, ha finito con l’assumere un valore emblematico che quel disegno, o quadro generale, rende più comprensibile e valido per il raffronto con territori italiani meglio studiati e, chissà?, soltanto meglio reclamizzati del nostro.       

      Un curioso paradosso alla fine abbiamo scoperto. La Malvizza è sempre stato un Centro, nel senso antropologico pieno del termine, per un periodo temporale così lungo, che al paragone la sua posizione attuale di frazione dipendente da un capoluogo può essere considerato un breve attimo.

     E’, infine, un centro di cui essere orgogliosi (se l’orgoglio non è fuori luogo). Orgogliosi o, comunque, consci del fatto che La Malvizza è stata culla e crocevia della nostra particolare forma di civiltà, a partire dai tempi dei tempi, e via via sino ad oggi, attraverso le fortune e le sventure di tante etnie, gruppi e individui che hanno vissuto, sofferto e gioito in questa contrada soltanto all’apparenza dura e inospitale.                  

 

A.Caccese – M.Sorrentino 
                                                   Montecalvo,                2004

 

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