Dopo lunghi mesi sofferti e
travagliati sembra essersi conclusa un'esperienza singolare e, per
certi versi, grottesca e "kafkiana", vissuta all'interno di una
realtà scolastica del profondo Sud Italia, in un piccolo centro
dell'interland avellinese.
E' la storia quasi surreale di una
"metamorfosi", di una rinascita, di un riscatto, ossia del recupero
e della riaffermazione della propria dignità, umana e
professionale, da parte di un gruppo di lavoratori della scuola.
E' la storia di uno stillicidio di
abusi di potere, di angherie e di soprusi perpetrati da un piccolo
"tiranno" ancorato alle vecchie e nuove strutture burocratiche del
potere inteso ed esercitato come puro arbitrio personale.
Ebbene, io ritengo doveroso raccontare
tale vicenda per informare anzitutto le altre realtà scolastiche e,
nella fattispecie, gli altri colleghi, ed in generale per
socializzare il patrimonio di valori, di conoscenze e di esperienze
che è stato accumulato nel corso di una vertenza che considero più
unica che rara rispetto a tutto il territorio nazionale. L'unicità
di tale vertenza risiede soprattutto nella nascita e nella
formazione di un gruppo alquanto numeroso di insegnanti "dissidenti"
che ha preso coscienza dei propri diritti e delle proprie ragioni,
riappropriandosi della più importante e preziosa tra le prerogative
dell'essere umano, ossia la libertà, intesa anzitutto come libertà
di partecipare alle decisioni che interessano il proprio destino e
la propria esistenza, e che in questo caso investono essenzialmente
la propria condizione lavorativa.
Questi sono i fatti più
salienti della vicenda.
In data 30 Agosto 2005 il preside
informa il Consiglio di Istituto di aver acquistato (non che sarà
acquistato, usando dunque un verbo passato - questa è già
un'anomalia) un orologio marcatempo per la rilevazione digitale
delle presenze dei lavoratori. Capziosamente, al fine di carpire la
buona fede dei presenti, riferisce al presidente del Consiglio di
Istituto e agli altri rappresentanti dei genitori che il corpo
docente sarebbe favorevole all'impiego di tale strumento di
controllo. E' assolutamente falso!
Il Collegio dei docenti non si è mai
riunito né tantomeno si è pronunciato su tale materia.
Oltretutto siamo ancora in vacanza, i
colleghi prenderanno servizio il 1° Settembre.
Il Consiglio di Istituto
approva la delibera dell'acquisto, ritenendo veritiere le parole del
preside.
Il 1° Settembre 2005 si insedia e si
riunisce il Collegio dei docenti per il nuovo anno scolastico.
Il clima sembra sereno, per molti è
ancora vacanziero. A sorpresa il preside informa il Collegio dei
docenti che è stato acquistato un orologio marcatempo per il
controllo automatico delle presenze dei lavoratori della scuola.
La sala collegiale sembra essere
invasa da un gelo improvviso ed anomalo, che contrasta con il clima
ancora caldo dell'estate. Tuttavia, nessuno dei colleghi presenti
chiede la parola per replicare o per ottenere ulteriori chiarimenti.
Anch'io taccio (sbagliando in tale occasione) aspettando che qualcun
altro intervenga. D'altronde ero appena rientrato nella sede di Sant'Angelo
dei Lombardi, il preside era per me nuovo e sconosciuto, per cui mi
trovavo ancora in una fase di studio e di ambientamento.
In un successivo Collegio dei docenti,
svoltosi sempre nel mese di Settembre, chiedo la parola per
esprimere il mio parere e per avere alcune risposte in merito alla
questione dell'orologio marcatempo.
Il preside mi censura brutalmente e mi
impedisce di parlare. Nessuno dei colleghi interviene in mia difesa,
per cui mi accorgo che l'intero Collegio è omologato e represso.
A quel punto mi limito ad una risposta
ironica e beffarda: "Preside, la ringrazio per la
libertà di parola che ci concede!". Qualche risatina e un pò di
ilarità si diffondono nella sala.
L'episodio si conclude qui, ma il
confronto è soltanto rinviato.
Trascorrono i giorni, le settimane, i
mesi. Giungono le festività natalizie. Un pò tutti hanno
sottovalutato la questione, ma soprattutto il dirigente e i suoi più
stretti collaboratori sembrano sottovalutare le reazioni del
sottoscritto e di una nutrita percentuale dei colleghi, come
emergerà in seguito.
Intanto, nel mese di Novembre il
dirigente e le R.S.U. si erano incontrati per negoziare e definire
la contrattazione di Istituto.
Ne viene fuori un accordo
vergognoso.
Dalla lettura del testo
contrattuale risalta l'art. 18 che recita: "Il Dirigente informa
la R.S.U. dell'Istituto che è stato acquistato un
rivelatore automatico delle presenze per meglio verificare l'orario
di servizio dei lavoratori". Ancora una volta il verbo è
coniugato al passato, ma soprattutto si nota una voce verbale ben
precisa, ossia "informa", così come era già accaduto in
sede di Consiglio di Istituto e di Collegio dei docenti.
Si desume che non c'è stata alcuna
seria trattativa, non si è svolto alcun momento di confronto
dialettico, di scambio negoziale, ma soprattutto non è stato
definito, approvato e sottoscritto alcun regolamento applicativo
(obbligatorio in questi casi) che stabilisca le modalità di impiego
di tale strumento di rilevazione automatica.
C'è stato solo e semplicemente un atto
unilaterale, verticistico e burocratico di informazione da parte del
preside, e di certo non è questo il modo più giusto di condurre una
contrattazione sindacale, da cui è scaturito non a caso un
testo inqualificabile, e non solo per quanto concerne la questione
dell'orologio marcatempo.
Ovviamente in questa vicenda risultano
assai rilevanti e determinanti le responsabilità delle R.S.U. le
quali, in buona o in mala fede, hanno letto, approvato e
sottoscritto il documento, ma soprattutto non hanno ritenuto utile
ed opportuno avviare una fase di consultazione democratica della
base dei lavoratori.
A proposito delle R.S.U. sarebbe
necessario riservare un paragrafetto a parte per spiegare meglio
alcune irregolarità riguardanti addirittura la legittimità stessa
della rappresentanza sindacale, in quanto le R.S.U. sarebbero dovute
decadere già dal 1° Settembre 2005 in seguito al trasferimento in
altra sede di due dei tre rappresentanti sindacali regolarmente
eletti a suo tempo, per cui si sarebbero dovute indire nuove
elezioni, ma tutto ciò non è accaduto.
Come si può facilmente intuire, in
questa scuola si vive in uno stato di illegalità diffusa e
permanente, o quantomeno di assenza di regole certe, stabili e
condivise.
Intanto, all'ingresso
principale della scuola viene installato il famigerato apparecchio
che sarà all'origine di gravi discordie...
Veniamo così all'inizio del nuovo anno
solare. Il 9 Gennaio 2006 riprendono le attività didattiche.
Con una circolare interna il preside
comunica che dal giorno 16 dello stesso mese i lavoratori della
scuola sono obbligati a ritirare il cartellino e a timbrare.
Un gruppo di docenti decide di
stendere un documento per chiedere al dirigente di rinviare la data,
per consentire un momento di confronto e di discussione collegiale
che non è mai stato concesso.
Il preside risponde picche, ossia che
il Collegio dei docenti è già stato informato e che tutti i passaggi
compiuti sono stati corretti sotto il profilo normativo. Balle!
Anche se per un'assurda ipotesi il
preside avesse seguito correttamente le procedure formalmente
necessarie, i risultati sostanziali che ne sono derivati, sono
talmente rovinosi da indurre a mettere in discussione l'intero iter.
Ecco gli effetti prodotti
dalla decisione, arbitraria e autoritaria, del preside.
In data 21 Gennaio 2006 viene indetta
un'assemblea sindacale dei lavoratori dell'Istituto Comprensivo di
Sant'Angelo dei Lombardi, per affrontare l'argomento.
L'assemblea viene convocata dai
rappresenanti provinciali di CGIL, CISL, UIL e SNALS.
Nel frattempo si è dimessa la R.S.U.
della CGIL.
Dall'assemblea emerge una vivace
critica all'operato del preside e una diffusa contrarietà della base
dei lavoratori rispetto all'impiego di tale strumento di controllo,
che viene considerato un rito inutile (infatti il
registro di classe attesta già la presenza del docente; inoltre, il
principale deterrente per l'insegnante risiede nella responsabilità
penale rispetto agli alunni che sono minorenni), ipocrita
(il docente non deve dimostrare di essere presente nell'Istituto,
bensì nella classe, dove è chiamato a svolgere il proprio dovere che
è di tipo didattico-educativo, un ruolo che non è assimilabile o
equiparabile ad una funzione di natura aziendale, ossia ad una
mansione manifatturiera o ad un impiego d'ufficio; inoltre, il
compito dell'insegnante non si esaurisce nella classe e nell'orario
di servizio, ma prosegue a casa, attraverso la correzione dei
compiti, la preparazione delle lezioni, lo studio e l'autoaggiornamento
professionale) e costoso (non solo sotto il
profilo economico, ma anche per i costi prodotti in termini di
stress psicologico ed emotivo, per le ripercussioni negative
generate sul versante delle relazioni tra i docenti, nonché per gli
effetti destabilizzanti provocati sulla gestione della scuola,
sull'andamento del lavoro nelle classi, eccetera).
Insomma, ci si interroga
sull'effettiva utilità e sull'efficacia di tale strumento di
controllo e si risponde in modo decisamente negativo.
Sorvolo sugli altri elementi di
analisi e di riflessione emersi durante l'assemblea. Al termine
della quale si decide di stilare un documento da consegnare, tra gli
altri destinatari, anche al MIUR, al Dirigente del C.S.A. di
Avellino e al Direttore dell'Ufficio Scolastico della Regione
Campania.
Nei giorni successivi all'assemblea
sindacale vari colleghi decidono di restituire il cartellino e
smettono di timbrare. Intanto un esiguo gruppo di "irriducibili" si
era rifiutato sin dall'inizio di ritirare il cartellino, per cui non
ha mai timbrato.
Il clima si innervosisce, la
tensione cresce sensibilmente, gli animi non sono più sereni.
Il preside emana un ordine di
servizio, poi reiterato, con il quale impone di ottemperare alle
precedenti disposizioni. A questo punto le posizioni si
irrigidiscono ulteriormente, il dialogo tra le parti è completamente
pregiudicato, in quanto era impossibile già prima, figurarsi ora!
Si inasprisce lo "scontro", la
vertenza diventa lunga ed estenuante e si sposta sul terreno
squisitamente burocratico-repressivo. Inevitabilmente si allarga il
divario delle incomprensioni e degli equivoci.
Ha inizio una vera e propria "guerra
psicologica" che mette a dura prova i nervi di tutti quanti.
A conti fatti i colleghi che
non timbrano il cartellino sono 21 su 54: non sono pochi, anzi!
Intanto, da più parti si intraprendono
iniziative di mediazione e di conciliazione, sia da parte dei
sindacati provinciali, sia da parte del C.S.A di Avellino e persino
dalla Direzione Scolastica Regionale, ma invano!
Il preside si ostina a ribadire le sue
ragioni, si arrocca nel suo bunker, si affida ad un legale (un
avvocato penalista), ricorre alla Procura della Repubblica come se
in tale vicenda affiorassero fatti penalmente rilevanti. L'unica
"infrazione" commessa dagli insegnanti "ribelli" è la non
ottemperanza ad un ordine di servizio, ed è dunque un'infrazione di
carattere amministrativo. Il codice penale non c'entra nulla.
E' evidente l'intento intimidatorio
nell'utilizzo della Procura della Repubblica e del codice penale,
agitati come spauracchi! Non a caso molti docenti cominciano ad
intimidirsi, manifestando dubbi ed esitazioni.
Dall'ufficio della presidenza
partono alcune "contestazioni d'addebito" e viene persino inflitta
una sanzione.
Anche tali provvedimenti celano uno
scopo intimidatorio, ma di fatto sono viziati sotto il profilo
formale e procedurale, per cui si annullano da soli.
Ormai appare sempre più
lontana e difficile un'equa e pacifica soluzione della controversia.
Un giorno (mi sembra il 23 Febbraio
scorso) giunge la visita ispettiva disposta dall'Ufficio Scolastico
Regionale, visita invocata con urgenza nel documento redatto e
sottoscritto dai rappresentanti sindacali provinciali e consegnato
personalmente al Dirigente Regionale.
Sembra che gli Ispettori non siano
favorevolmente colpiti dalla situazione che si trovano a valutare,
anzi appaiono impressionati in modo molto negativo, soprattutto a
causa del pesante clima ambientale e della rigidità che caratterizza
la posizione del preside.
Nel frattempo i due più
stretti collaboratori del preside avevano già rassegnato le
dimissioni.
Alcuni giorni dopo il preside
si mette in aspettativa per motivi di salute.
E' un segnale di resa del preside? Di
certo si tratta di una soluzione quantomeno "pilatesca".
Dal C.S.A. di Avellino perviene una
nomina coatta che obbliga la vicaria a ritirare le
proprie dimissioni e ad accettare il nuovo incarico direttivo.
Qualche giorno dopo segue il ritiro
delle dimissioni da parte anche dell'altro collaboratore.
Veniamo all'epilogo parziale e
temporaneo della vicenda.
Al termine del Collegio dei docenti
del 7 Marzo scorso la collaboratrice vicaria, subentrata al posto
del preside, comunica la "sospensione" dell'uso
dell'orologio marcatempo, in attesa di decisioni provenienti dagli
organi superiori.
Il 10 Marzo scorso si è svolta
un'altra assemblea sindacale con i rappresentanti provinciali i
quali, interpretando in modo ottimistico e trionfalistico gli ultimi
avvenimenti, hanno evidenziato l'esito positivo della vertenza.
Per quanto ci riguarda la
"vittoria" conseguita è soltanto parziale. Adesso si apre una nuova
fase...
Una prima, immediata valutazione degli
eventi è la seguente: l'esito raggiunto non deve indurre a facili e
sciocchi trionfalismi, né al contrario ad un eccessivo pessimismo.
Si può essere in parte appagati dai
risultati effettivamente conseguiti. La vittoria appare
evidente nell'oggettività dei fatti, non è dunque una "vittoria di
Pirro".
Tuttavia, si tratta di un successo
parziale, che a mio avviso ha bisogno di essere formalmente sancito
e documentato sul versante normativo, attraverso una sentenza
autorevole che attesti e riconosca la illegittimità dell'uso
del suddetto orologio marcatempo, così da fornire un preciso punto
di riferimento giurisprudenziale per evitare che altrove si possa
ripetere quanto si è verificato nella nostra scuola.
Per concludere occorre precisare che
la questione dell'orologio marcatempo e la dura vertenza
sindacale che ne è scaturita, costituiscono soltanto la punta
dell'iceberg di una complessa e controversa realtà, nella quale si
intrecciano profonde ed aspre contraddizioni legate ad un'errata e
distorta concezione dell'autonomia scolastica, che
invece dovrebbe essere intesa ed applicata in base allo spirito più
autentico della legge, ossia in termini di partecipazione e
coinvolgimento diretto ed effettivo di tutte le soggettività
presenti ed operanti all'interno e all'esterno della scuola, quindi
come estensione della base politico-decisionale.
Lucio Garofalo