I Vitigni autoctoni Montecalvesi del Dott.Antonio Stiscia
Madonna dell’Uva sec.XVI
La tradizione
vitivinicola di Montecalvo (Irpino dall’Unità
d’Italia),si fonda sulla secolare e documentata presenza di
vitigni di pregio (LIATICO) e da quelli di largo consumo(Turchenese-
rosso e Picciolo di Bambino- bianco ).
La presenza di appositi e
speciali contratti di Affitto di Vigne,(dove venivano
numerate,segnate e specificate le piante ,con la individuazione
del tipo e del modo di coltivarle),la dicono lunga sulla
particolarità quasi maniacale di questi contratti,dove sovente
si ricorre a formule che si ritrovano naturalmente più negli
affidi familiari che non in tipologie di contratti agrari.
Il Liatico re dei
vini,assume una importanza straordinaria,specie per la sua
lavorazione,di cui si specificano i processi produttivi e
conservativi,la resa,la qualità e il carico delle fecce.
Sembra strano,ma dalla lettura
di questi contratti,rogitati da notai e debitamente registrati
viene fuori uno spaccato di esperti enologi e una certa enomania
,per certi versi inaspettata,ma che dimostra del come la cultura
della vite,sia strettamente legata ad un territorio collinare
povero, ma con nicchie produttive di eccellenza.
La capacità di adattamento dei
vitigni e la loro caratterizzazione,frutto dell’evoluzione
,rende autoctoni alcuni tipi di vitigni la cui etimologia può
aiutarci ad identificarne l’origine o almeno le caratteristiche
visive ed organolettiche.
Il termine Liatico è comune per
tutto l’ottocento e fino al Ventesimo secolo,dove per una certa
evoluzione o astrazione ,si può essere trasformato in Aglianico,ma
la certezza dei dati ci impone di conservare le tipologie
originarie,rischiando di compiere un falso o peggio
un’alterazione,da evitare sempre,e specialmente quando si parla
di vino.
Il Liatico, vino rosso
di qualità,veniva coltivato principalmente “ a dritta “
cioè con una costante esposizione a mezzogiorno,in terreni
assolati per l’intero arco della giornata,accliviati e di natura
arenarica .
La località perfetta a tale
coltivazione era la C/da Magliano, e il cui toponimo
potrebbe dirla lunga sulla qualità delle superfici,quasi tutte a
Vigneto e a Liatico,per cui potrebbe pensarsi alla parallela
evoluzione:
Liatico-aliatico-aglianico
Aglianico- agliano-magliano.
Nel mentre sull’aglianico
si è già scritto, e a ragion dovuta ,in realtà dove il vitigno
ha una conclamata valenza e proliferazione,è sembrato giusto
parlarne per far comprendere di come e da secoli viene
considerato un vino di qualità superiore.
Se è vero e dimostrabile che il
vino di qualità non nasce a caso,è pur vero però che alcuni
vitigni hanno pretese minori ,sebbene di qualità
eccellente,votati alla produzione di vinelli di largo
consumo,vini che allietano la tavola e che per il basso tasso
alcolico si prestano ad una degustazione generalizzata e mai
alterativa degli equilibri psico-fisici,conferendo la naturale
ebbrezza dei vini dell’antichità.
Stiamo parlando del
Turchenese(turchinese),un rosso rubino di non eccessiva
gradazione alcolica (11 % a salire)leggermente frizzantino,con
un retrogusto di profumo di rosa canina e una gradevole asprezza
da raspo d’uva.
Un vinello che conserva una
costante freschezza e che va consumato entro l’anno di
produzione.
Il Turchenese,era il
vino promozionale di tutte le locande e osterie del paese,in
quanto la bassa gradazione ne consentiva una copiosa vendita e
quindi maggiori ricavi.
Il termine Turchenese è una
costante nell’economia agricola montecalvese,in quanto anche per
un tipo di grano e di farina si parla di Saragolla Turchesca.
Non sappiamo se esistono
collegamenti geografici con la Turchia o ancor meglio con il
medio oriente,dovendo intendersi per Turchi e/o turchesche tutte
le popolazioni soggette all’impero ottomano e affacciantesi sul
mediterraneo,o popolazioni arabe legate all’ Islam.
Una cultura che ritroviamo
presente nei portali Montecalvesi,in alcuni termini del
dialetto,nella cucina e nei reperti di ceramica(protomaiolica
araba) provenienti dal territorio e dagli scavi del Castello
Ducale Pignatelli di Montecalvo,dai quali si ha conferma della
presenza tra le mura di una guarnigione di soldati arabi al
soldo di Federico II di Svevia.
Il dato etimologico ha la sua
indiscussa importanza e non è improbabile che almeno
originariamente alcuni semi di vitigno ,siano giunti in queste
nostre contrade,insieme a chicchi di quel grano che per la
qualità e la resa aveva fatto della Sicilia e dei paesi nord
africani i granai dell’impero romano e delle civiltà
succedutesi,specie l’ottomana.
La particolarità della
coltivazione della vite,specie del Turchenese,ha avuto una lenta
evoluzione.
Nelle antiche carte,le viti
venivano fatte crescere in altezza e ad una buona distanza,per
consentirne l’ottimale areazione e una maggiore esposizione al
sole,in macro filari posti orizzontalmente e a terrazze ,a
seguire l’andamento del sole,come se fossero delle superfici
eno-voltaiche.
Per il Picciolo di Bambino,il
discorso è completamente diverso,per la scarsa importanza dei
bianchi,che avevano una funzione diversa e non erano votati al
consumo .
Il Picciolo di Bambino deve il
nome al fatto che il chicco dorato e tondeggiante,molto
dolce,presenta un peduncolo,residuo dell’inflorescenza e
impollinazione,che cade definitivamente con la vendemmia dei
grappoli.
La presenza di questo
peduncolo,ne ha contraddistinto il nome,anche per il malizioso
accostamento al sesso del bambino e all’incolorazione dell’orina
,chiamata pipì degli angeli.
La scarsa forza alcolica
,faceva si che le uve fossero usate per stemperare il colore dei
vini rossi e per addolcirne la forza,specie del Liatico,conferendo
una profumazione intensa,propria dei bianchi.
Il vino da Picciolo di
Bambino,aveva scarsissima produzione,e una parte veniva
imbottigliata appositamente per le funzioni religiose.
Col tempo e a metà ottocento si
invalse la moda di conservare il vino bianco a cui era stata
arrestata la cosiddetta cottura,la nascita delle bottiglie di
vetro spesso e scuro,consentirà la conservazione del così detto
Vino alla cruda,le
cui tecniche si sono affinate nel tempo,con sistemi di
lavorazione e imbottigliamento,segretati da generazioni di
amanti del buon bere.
Col passare dei decenni e per
le mutate condizioni climatiche,i filari dei vigneti vennero
sempre più abbassati per ritornare quasi a livello del
terreno,come era agli albori e come avveniva nelle coltivazioni
isolane,dove per la fastidiosa presenza del forte vento,si era
costretti a riparare le superfici vitate con pietre e con muri a
secco.
Il mutato andamento
climatico,fece abbassare le viti,ne favorì il raggruppamento per
autotutelarsi e comportò la piantagione di filari di alberi
frangivento(olmo e cerro).
La disposizione dei filari
seguì la direzione del vento ,per assicurare una buona areazione
e per limitare l’attacco dei parassiti e per la vicinanza ai
terreni,si provvide alla messa a dimora al limitare dei
filari,di piante di rosa antica,di colore bianco e rosa,per
segnalare anzitempo la presenza di parassiti e funghi,per
attirare gli insetti buoni(Api) che oltre a impollinare le rose
favorivano l’impollinazione dei fiori della vite,conferendo un
gradevole profumo di rosa.
A questo punto della
lettura,si è un po’ seccata la gola e per addolcire la secchezza
delle fauci,si può bere un buon bicchiere di vinello turchenese,con
un cucchiaino di miele o meglio ancora ,un dito di vin cotto
,diluito in un bicchiere di acqua fresca.
Prosit!
Montecalvo Irpino Maggio 2008
Antonio Stiscia
Proverbio Popolare
Montecalvese:
Chi beve birra campa cent’anni,chi beve vino non muore mai !
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