Meno genuino, meno sano, meno nutriente: la conseguenza? Meno
pane sulle tavole italiane, ma sempre più attenzione alla
qualità. Colpa forse dei prezzi e anche delle diete, ma quel
che è certo è che i nuovi consumatori rimpiangono il buon pane
di una volta. Indaga tra nuove tendenze e tradizioni dei
consumatori, il sondaggio della Swg voluto dall’associazione
«Città del pane». L’occasione: la festa del pane all’ombra
della Federazione panificatori - patrocinata da Senato,
ministero delle attività produttive e Cnr - che vede
mobilitati oggi 23mila panifici con mille iniziative. Il pane,
tesoro prezioso della tradizione, ha visto in cent’anni
scendere il suo consumo da mille a 120 grammi al giorno anche
perchè spesso delude il palato. Secondo il sondaggio Swg - 800
i responsabili di acquisto delle famiglie intervistati - è
costante, negli ultimi due anni, il numero di chi associa il
consumo del pane a piacere edonistico e tradizione del
territorio, ma sfilatini o rosette sono in calo quanti credono
nelle sue proprietà salutistiche. «All’origine - spiega
Corrado Barberis, presidente dell’Istituto di sociologia
rurale e di OsservaPane - ci possono essere ragioni legate a
farine impoverite dall’uniformità delle varietà seminate, alla
progressiva scomparsa dei forni a legna o dei lieviti
artificiali». Un calo che interessa 25.082 imprese artigianali
(stima di Cna), 150 forni industriali: una produzione annua di
3.120mila tonnellate di pane, per un fatturato di 7,8 milioni
di euro (230mila occupati diretti, oltre 180mila quelli
dell’indotto). Stando ai dati Istat, su 22.876mila famiglie,
12.870mila acquistano pane fresco ogni giorno, 2.688mila non
lo comprano mai o raramente, 844mila fanno il pane a casa.
Stabile dal 2003 il numero dei consumatori che vanno dal
fornaio ogni giorno, in calo quelli più saltuari. Ma stando ai
risultati del sondaggio Swg, i motivi ci sono.
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Avv.Antonio
Stiscia - Funzionario del comune di Montecalvo Irpino |
Rispetto al pane di una volta quello di oggi per il 71% degli
intervistati è meno genuino, meno sano (68%), meno buono (62%),
dura meno (59%), è meno nutriente (49%), meno sicuro (47%). Per
ben sei italiani su dieci il pane tipico di regioni o città è più
buono rispetto a quello comune. I prodotti più riconosciuti? Il
pane pugliese, toscano e di Altamura. Ma il 46% non spenderebbe di
più per averlo, gli altri sono disponibili a pagare al forno il
5,5% in più in cambio di genuinità e freschezza. I più giovani,
base forte della tradizione: l’83,4% prefersice il panino, con
formaggi o salumi, come merenda a scuola o a casa. Stando,
infatti, a un’indagine della Coldiretti, in collaborazione con l’Inran
(intervistati 3mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni), nella hit
parade dei gusti al secondo posto, a buona distanza dal panino, ci
sono pizza o focaccia (58,4%), poi crackers, grissini (48,3%),
snack salati (40,6%). Il calo dei consumi quindi «è colpa dei
prezzi - denuncia il Codacons - dal 2001 a oggi l’aumento è stato
in media del 40%». E
scoppia la polemica. Parte da un centro campano,
MONTECALVO
Irpino, la
protesta contro la legge che vincola, nei piccoli comuni, la
quantità di produzione di pane al numero di abitanti. «Va abolita
- dice Antonio Stiscia del municipio irpino - toglie la
possibilità di crescere, per esempio, ad un paese del Sud a forte
tradizione cerealicola, e impone un grano non nostro per legge,
mentre i produttori locali chiedono contratti di sostegno per la
reintroduzione del grano duro saraolla, autoctono fin dal
medioevo». Il pane irpino va a ruba nei mercati campani. «E noi
rischiamo - sbotta Stiscia - di dover mangiare pane rumeno».
Il caso-irpino, un esempio tra tanti.«È importante trovare
una sintesi tra produttori e istituzioni nel progetto ”Pane 100%
italiano” - dice Edvino Jerian, Federconsumatori - che prevede
contratti di filiera sulla scelta di quale grano coltivare e sul
prezzo delle sementi predeterminato alla semina». Meglio insomma
il pane di una volta magari tutelato, come suggerisce il Cna, da
un marchio collettivo per le produzioni della tradizione. Anche
perchè, avvertono i panificatori, il prodotto caldo e croccante
che ci attira al supermarcato non è detto non sia precotto o
surgelato in qualche industria alimentare.
DANIELA LIMONCELLI
Da il Mattino del 25 Maggio 2005 |