Roberto De Simone.
Scarsissime in
Campania si contano le testimonianze di autentiche espressioni di canto
politico, anche se va attestata, al contrario, una sommersa produzione di
tal genere, specialmente in Irpinia. Il canto politico, dal punto di vista
musicale, raramente può riferirsi a moduli etnici, e generalmente si
poggia su melodie popolaresche di larga diffusione, più atte ad accogliere
un testo destinato ad una chiara comprensione verbale. Questo è il motivo
per cui, assolta la sua funzione storica, un canto politico esce poi
dall’uso, dai repertori che connotano la funzione metastorica del canto
espresso in un rituale collettivo. Il canto politico, quindi, rimane vivo
solo nella memoria di chi visse quel momento, di cui quel canto fu voce
reale di avvenimenti che coinvolsero il contesto sociale. Ciò spiega anche
la esigua documentazione di canti popolari politici, che, necessariamente,
vivendo di trasmissione orale funzionale alla collettività, quando hanno
esaurito la loro funzione storica, si dissolvono nei recessi della memoria
collettiva. Né, come abbiamo detto, essi sono relativi a strutture
musicali autonome o specifiche, ma, risultando come prodotto di un
processo parodistico, hanno durata effimera cui segue l’inesorabile
annegamento del testo nel trascorrere di una realtà dinamica e non statica
della cultura orale. In tale consapevolezza, ho più volte stimolato la
memoria di informatori anziani circa avvenimenti storici stigmatizzati da
un peculiare componimento orale, e più volte la mia richiesta ha sortito
esiti positivi. Assecondando un’insopprimibile vocazione ai percorsi
esplorativi, su segnalazione dell’amico Aniello Russo, tempo fa mi recai a
Montecalvo Irpino allo scopo di incontrarmi con Felice Cristino, contadino
ottantaseienne, la cui memoria rappresenta una biblioteca orale di
notevole interesse per ciò che riguarda la storia altra, quella non
ufficiale, dell’area meridionale in generale e dell'Irpinia in
particolare. In essa è testimoniata una diffusa resistenza al fascismo, e,
successivamente, al potere clerico-fascista del dopoguerra. Felice
Cristino, o meglio zi’ Felice - come tutti lo chiamano a Montecalvo - mi
aprì gli scrigni del suo ricordare e mi comunicò la sua attiva
partecipazione al dissenso contadino contro le ingiustizie baronali, i
privilegi politici, evocando luminosamente il tragico contesto dell’ultimo
dopoguerra. Rappresentante esecutivo di un tradizionale stile di canto
irpino, egli si dichiarava autore di un componimento politico da lui
creato, a scopo propagandistico, in occasione della campagna elettorale
indetta per il referendum del 2 giugno 1946. L’eccezionale documento ha
tutte le caratteristiche della più autentica popolarità: esso si plasma
sulle strutture antifonali degli antichi canti di lavoro, risulta composto
secondo le tecniche orali, presenta un testo estraneo a formule di
retorica politica, esprime un «noi» e non l’ «io» della sentenziosità
borghese, e si carica di quell’ironia irridente che si sprigiona
dall’autenticità realistica delle culture orali. In tal senso, nello
snodarsi strofico del canto, ricorrono alcune figure della realtà
montecalvese di quel tempo, disegnate a vividi tratti dalla fertile
vigorosità sfottitoria dell’antico contadino, al quale i suoi vecchi amici
riconoscono un indiscusso ruolo di leader autorevole.
|