La Maialata,o
più correttamente l’Uccisione del maiale,è uno degli avvenimenti
più importanti nella storia della cultura contadina montecalvese,legata
al necessario sacrificio di un animale prezioso e ricco , di cui non si
butta via niente.
Fin dall’antichità e in specie nella
tradizione dei Sanniti
*(Benevento ha nel
suo stemma la
rappresentazione di un
cinghiale
– S.P.Q.B.)
e dei Romani, e di poi nella
tradizione medioevale,l’allevamento e la cura dei maiali,ha
rappresentato una importante voce dell’economia agropastorale,anche per
la presenza di vaste estensioni di quercete e di boschi,di cui ci rimane
la memoria in alcuni toponimi (C/da Cerreta ).
Il maiale*come riserva di proteine
per il lungo inverno,un sicuro riferimento per la sopravvivenza del
nucleo familiare.
*(Nella tradizione e
nella pratica comune,il Porco diventa Maiale solo dopo la
castrazione,che segue riti e procedure complesse,nel mentre al femminile
si ha l’esatto opposto, la femmina che si riproduce diventa
orgogliosamente Scrofa,quella castrata rimane Porca-Troia ,con il
naturale accostamento alla pratica del meretricio,fatto a scopo di lucro
e/o di piacere,ma non di riproduzione,o anche per la naturale
propensione della femmine di questa specie ad accoppiarsi frequentemente
e continuamente,anche nei periodi di gestazione).
Nell’alto medioevo nasce e si concretizza
la figura del Porcaro(Pastore di porci),ultimo nella scala
sociale e assimilabile allo stesso animale che pascolava.
Il porcaro non era,quasi mai, proprietario
dei porci,che si appartenevano ad alcune ricche famiglie, a ricchi
commercianti e alla Chiesa*
*(Nella
tradizione religiosa montecalvese,e fin dal 1700 i Frati Francescani di
Montecalvo,solevano allevare 2 maialini chiamati,devozionalmente
Francesco e Antonio,che pascolavano,liberamente per il
territorio,identificati con nastri rossi e marchiati a fuoco.Chi li
incontrava o il proprietario del luogo ove si fossero fermati per
pascolare,aveva l”obbligo”devozionale di accudirli e
rifocillarli,considerando una sacra benedizione averne ricevuta la
beneaugurante visita. Senza dimenticare S.Antonio abate,protettore degli
animali e raffigurato quasi sempre in compagnia di un porco).
La notoria sporcizia dell’animale abbinata
ad una sua indiscussa utilità e ricchezza,diede vita ad un ambivalente
rapporto,fondato sul bene e sul male,in una strana convivenza che
attraverserà tutto il medioevo.
L’influenza araba,favorita dal regno di
Federico II e che considerava il maiale un animale immondo,sulla
scia degli insegnamenti di Maometto il profeta,condizionerà i rapporti e
gli scambi commerciali,sebbene nella tradizione sud europea si
troveranno i soliti compromessi esistenziali .
Il maiale diventa simbolo del male,anche la
religione Copto-Cristiana assimila le legioni diaboliche alle
mandre di porci,responsabili delle possessioni che colpiscono
particolarmente le donne,specie quelle di malaffare,il cui influsso
malefico ci porterà alla stregoneria e alle magie delle Janare.
Si arrivò a pensare che ad evitare il
malefico influsso dell’animale,bastasse procedere a formule benedicenti
o cerimonie di espiazione,o almeno a riti purificatori,prima
dell’uccisione della bestia.
La tradizione di non mangiare le carni del
maiale,appena macellato, nasce da questo aspetto depurativo,come invece
la cottura degli organi interni(polmoni,fegato e cuore) trova naturale
continuità con gli Aruspici e la pratica antichissima di
presagire il futuro dalla lettura degli organi che proviene direttamente
dalla religione etrusca,(fegato etrusco),per arrivare alla
cultura pastorale,intrisa di fede e magia.
Sporco,pericoloso,immondo,malefico e pure necessario!
Combattere il
male assoluto,mangiandone ogni parte o esorcizzarlo utilizzandone i
componenti.
Se il Capro espiatorio,quasi
sempre di colore nero, era la rappresentazione del male ,nella
tradizione Giudaico-Cristiana e nella parte sud del mondo,la stessa
valenza avevano i Cinghiali per le popolazioni del Nord , (con
una
religione
psueudo-animistica e poi guerriera come la celtica).
Cinghialetti selvatici
In entrambi i casi si
prelevavano i simboli della loro
forza(Pelli,denti,unghie o l’intera testa),per esorcizzarne la forza
maligna,dopo averne consumato le carni, cotte al fuoco purificatore e
dopo inevitabili cerimonie propiziatorie e/o religiose.
La deforestazione operata dai romani e
proseguita per tutto il medioevo e fino alla metà del 700,per ricavare
terre da coltivare e legna da ardere e tronchi per costruire case e
navi,comporterà la lenta inarrestabile scomparsa dei cinghiali in buona
parte della nostra regione e l’inizio della pratica del loro allevamento.L’insana
politica del profitto assoluto,ha decretato l’estinzione di molte
razze,favorendo quelle poche e sempre più gracili, destinate alla
produzione di grandi quantità di carne,a tutto danno della Biodiversità.
Con la riscoperta di alcune razze
indigene (cinta senese,maiale nero di capitanata..) e il loro
indiscusso valore ambientale e gastronomico, si sta recuperando un
nuovo spazio culturale ancorché commerciale,con un ritorno alla antica
pratica del maiale allevato(anche
allo stato brado o in grandi
quercete recintate)
e macellato in fattoria ,ripristinando i millenari metodi e procedure
di conservazioni delle carni.
Questa tradizione,ancor viva nelle campagne
Montecalvesi,ha comportato lo svilupparsi di alcune aziende artigianali
che stanno conquistando,con i loro prodotti,significativi spazi
commerciali,anche a livello nazionale.
I salumi montecalvesi,una vera realtà
imprenditoriale,testimoniata dalle Aziende:
Salumificio
Montecalvese;
Salumificio Tufo
Salumificio
Alimenta
Salumificio Pappano
Salumificio
Gelormini
In altre regioni italiane,come l’Emilia
Romagna,il maiale è il vero re della gastronomia,parte integrante
della cultura e del paesaggio,di cui se ne tessono le “lodi” e se ne
partecipa il valore fin da piccoli,senza dimenticare la cittadina di
Norcia in Umbria,patria si San Benedetto e indiscussa capitale dei
salumi,da cui derivano i termini universali della gastronomia(norcineria).
La festa di contrada che accompagna
l’uccisione del maiale ha un retaggio ancestrale e il suo carattere
scambievole e itinerante sintetizza l’evoluzione dell’uomo,con il
perpetuarsi di riti e gestualità,di cui non se ne conosce l’origine ma
che si ripetono fin dalla notte dei tempi,spesso
inconsapevolmente,alimentando il fascino per l’antropologia.
Ancora oggi,infatti, si usano cucinare e
degustare con il Fritto*,i soli organi interni del maiale,quasi a
volerne esorcizzare l’intero corpo.
Il sapiente utilizzo del sangue che
viene,raccolto e conservato,bevuto ancor caldo o cucinato
(
sanguinaccio,maccheroni
con il sangue…),nasceva dalla
necessità di dare un forte apporto proteico agli anemici e ai soggetti
la cui alimentazione, basata sulle granaglie e sui frutti della
terra,era proteicamente scarsa e anche perché la pastorizia era
finalizzata alla massima redditività delle bestie vive e non alla loro
macellazione.
La tecnica di conservazione delle
carni,rimanda alla tradizione e alla affumicatura con legno di quercia e
solo successivamente alla salagione,allorché si infittirono i rapporti
con le genti delle coste e si sviluppò la transumanza.
Le interiora servirono da sacchi naturali
per conservare la carne dello stesso animale, quella carne cioè che non
si poteva conservare in un pezzo unico e che andava rimossa dallo
scheletro.
Si pensi alle salsicce di Pignata*,fatte
con la carne più povera del maiale ma che danno un sapore particolare e
profondo al palato
Salsicce di Pignata
(*Salsicce che
venivano cotte nella pignata,quale condimento intrinseco e per
insaporire,le verdure,i fagioli e altri elementi vegetali ,che si
arricchivano di grassi e proteine animali).(Le salsicce di pignata
sono diventate col tempo una prelibatezza,quel che erano salsicce di
serie B sono diventate le più ricercate,forse perché la lavorazione
delle carni deve essere fatta esclusivamente a punta di coltello,per la
coriacità delle carni da scheletro e la presenza di grasso
corposo,legato alle parti del corpo più muscolose).
La cultura del lardo( in pezzi interi) e
della sugna (nelle vesciche),quali componenti energetici per chi
lavorava nei campi e per la creazione di difese naturali per il lungo
inverno,la dicono lunga sul valore di investimento(capitale) di un
animale che,per tale motivo, viveva il più possibile vicino alla casa
del contadino,con funzione di spazzino ante litteram,in una
organizzazione economica rurale dove non si buttava via niente e dove
tutto veniva riciclato e riutilizzato.
Ogni paese ha una sua tradizione per la
cottura delle carni del maiale,a Montecalvo,oltre quelle che sono ormai
entrate nella tradizione italiana,resistono alcune specialità legate al
territorio:
Le orecchie del maiale vengono messe ad
essiccare e affumicare nella cucina dove alberga la “focagna”(caminetto
per uso di cucina),e sono utilizzate principalmente per la cottura con i
fagioli secchi in una apposita Pignata,che cuoce vicino al
fuoco,poggiata a terra proprio vicino alla brace.
(*Il fritto
è come detto ,il piatto commemorativo della uccisione del maiale e
seppur con alcune varianti, è tipico di Montecalvo e viene fatto in
questo modo:
In un “ Tiano” (tegame di terracotta) si
fanno friggere con la sugna, patate e peperoni alla mantegna
(conservati sotto aceto in un apposito barile chiamato mantegna),tagliati
a pezzi grandi per mantenerne la fragranza,con uno spicchio di aglio
intero ( con pellicola).
A cottura quasi ultimata,le patate e i
peperoni vengono tolti e vengono aggiunti il polmone e il cuore del
maiale fatto a pezzi,solo a quasi fine cottura si aggiunge il fegato di
maiale fatto a pezzettini,fino alla completa cottura,con l’aggiunta dei
peperoni e delle patate,tolte anzitempo.
Il piatto viene salato alla fine , per
sopperire al senso di dolce e per non alterare il retrogusto degli
alimenti combinati in agrodolce.
Una vera bomba di grassi e
proteine,innaffiato da abbondanti bevute,esclusivamente di vino
novello,la cui componente acidula dovuta alla interazione dei residui
del raspo d’uva,attenua la forza del piatto dando compiacimento al
palato.
Fasulata
(Panella richiena
di fasuli cu la cotica)
Memorabili le panzanelle di Pane di
Montecalvo di grano duro,nell’olio soffritto.
Nella tradizione montecalvese,ricorre un
noto proverbio che, saggiamente,suggerisce sul come approcciarsi al
prossimo,specie nella scelta di una ragazza da sposare:
“Quannu hai da accattà lu puorcu,hai da
vedé la mamma !
Montecalvo Febbraio
2009
Appendice
Il Porco
Che strano
destino,ha,questo animale
Cresciuto con amore e
solo da ammazzare
Tenuto da conto come un
reale
Per farlo a pezzi e
poi sotto sale
Nessuno lo rimpiange e
nessuno ha un ricordo
Non lascia
emozioni,solo carne e lardo
Eppure è l’animale più
a noi familiare
Gli vogliam così
bene,da farcelo mangiare !
Dott.Antonio Stiscia
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