La "Rosa" di Antonio Stiscia

 

 

 

Rosa fresca e aulentissima….
 
Al parlare della rosa,riecheggiano i sacri versi di quel Cielo d’Alcamo che per prima,forse, accomunò la regina dei fiori alla donna.
Il fior de fiori,che con i suoi petali si apre alla vita con discrezione e   pudore.
Un richiamo intenso, odoroso,un profumo inebriante di dolcezza.
Simbolo dell’amore e dono d’amore,sa essere altro .
Il suo colore e le sue forme si connotano di significati e non basterebbe un libro a riprodurne l’intima e complessa simbologia.
Eppure la rosa sa essere utile e da essa l’uomo ha saputo trarne impieghi e diverse fortune.
Se dal 700 è invalsa la tradizione ebanistica di utilizzare il duro legno di rosa per arricchire le tarsie del mobilio è anche vero che la rosa,specie quella Antica è da sempre usata al limitare dei filari delle viti,per favorire l’impollinazione delle api,fungendo da attrattore,ma anche  quale utile segnalatrice  della presenza di parassiti infestanti,stante una certa consanguineità tra le 2 specie botaniche,con la particolarità che la rosa,più delicata va a far da specchietto per le allodole o da agnello sacrificale alla ben più importante vite.
Questa pratica, fondata su una secolare esperienza contadina,comportava un arricchimento,inconsapevole, del gusto del vino, che andava a rivestirsi di fragranze e profumi rosati,che riempivano i vini più delicati e meno alcolici,stemperando una certa componente acidula e rasposa.
La processione del Corpus Domini era la festa dei petali di rosa,sparsi a tappeto al passaggio di Gesù Sacramentato,la tradizione voleva che gli stessi petali non andassero distrutti,anzi proprio quelli benedetti dal passaggio del Corpo del Signore e conservati in appositi cesti di canna,venivano destinati alla macerazione e alla creazione del profumo di rosa.
Chi aveva gli alambicchi per fare ,di frodo, l’acquavite,lo utilizzava per fare le essenze di petali di rosa per la propria donna,ma la gran moltitudine seguiva il metodo antico di far macerare una gran quantità di petali della stessa o di più rose diverse,in segrete quantità,per ricavare l’acqua di rose,un’acqua profumata e leggera,con la quale le donne si cospargevano il corpo, accuratamente lavato, per la prima notte di nozze.
Il letto nuziale veniva ricoperto di rose,accuratamente adagiate sulla coperta ricamata più bella e di colore bianco(simbolo della purezza),i petali venivano accuratamente raccolti in un telo che la sposa il mattino dopo, aveva cura di lanciare dalla finestra o dal balcone,come una liberazione e  per  appropriarsi, non solo del corpo, ma anche di uno nuovo ruolo nella società civile.
Un silenzioso e profumato urlo liberatorio al mondo e un gesto eloquente e pubblico di esercizio di potere sulla casa,sul proprio uomo e sul talamo, fondamento della famiglia.
E pur
 
la rosa, asconde un incanno
 
come  scriveva il grande poeta popolare Pietro Paolo Parzanese.
La perfida spina è sempre pronta in agguato a ferire l’incauto raccoglitore,estasiato dalla bellezza e ubriacato dal profumo. 
Come tutte le cose più preziose nascondono un’insidia,così la bellezza può essere ingannevole.
Le spine si sa ,se prese con cura non pungono e poi vuoi mettere la straordinarietà di cogliere il più bel fiore dell’universo!
Se la rosa è femminilità,non può che accostarsi all’ideale più puro :La Maternità.
Maria mater Dei
 Maggio il mese delle rose e della Madonna
Le rose del dono alla puerpera
La rosa del vero amore
La rosa della felicità
La rosa e la croce
La rosa e ………
Una antica favola montecalvese,racconta che Adamo cacciato dal Paradiso Terrestre,trafugò delle rose,che a quel tempo non avevano spine,all’insaputa di Dio.
Non appena abbandonò il sacro recinto e  nell’atto di mostrare il più bel fiore che aveva sottratto,per ingraziarsi Eva,lo stesso si cosparse di affilatissime spine che punsero a sangue le sue morbide mani inoperose.
Dal sangue  di Adamo,caduto a gocce nella fuga ,si propagò la rosa rosso sangue in tutto il mondo.
Qualche tempo dopo,Adamo ritrovò la rosa e impaurito si avvicinò con circospezione,per non essere punto di nuovo,ma questa volta le mani callose,frutto del duro lavoro,non si ferirono.
La morale è che sarà pur vero che il lavoro indurisce le mani,ma ti consente di cogliere il fiore più bello senza farti male.
 
Antonio Stiscia
 

 

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