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(Corso Umberto I) E’ questo uno dei 7 Palazzi Capozzi con relative masserie, appartenenti a questa importantissima famiglia Montecalvese,ma con propaggini in tutta l’Irpinia e con la presenza di personaggi di spessore e di cultura nazionale. La numerosa e ricchissima famiglia si era trasferita anche in altre realtà come Avellino, Montaguto creando un filo verde tra tante comunità,pur lontane,consentendo a Montecalvo di mantenere una certa importanza intellettuale e politica in ambito provinciale
Palazzo Capozzi- Corso Umberto Oltre al Palazzo di Corso Umberto,forse il più antico e certamente originario,per la ubicazione(Corso Umberto),vanno ricordati gli altri 3 Palazzi Capozzi,di cui si ha conoscenza: Palazzo Capozzi di Corso Vittorio Emanuele e i 2 Palazzi fronteggianti di Via S. Antonio,dell’un dei quali rimane uno splendido portale con teste di leone in ferro,a testimoniare un potere e una forza combattiva dovuta al quasi naturale connubio tra la forza del metallo e la fierezza della testa leonina (Capo-tium / Capotia).
Palazzo Capozzi di via S.Antonio con le teste Leonine Foto Archivio Palazzo Stiscia Il Palazzo di Corso Umberto,ancora integro nella struttura seicentesca,vede la presenza dell’androne che anticipava l’accesso al piano nobile,nel mentre nei piani terranei venivano relegate tutte le attività giornaliere(le dispense,il granaio e le cantine),in una sorta di microcosmo,o meglio di cittadella autonoma e autosufficiente. Il portale di arenaria,nella sua semplicità,non deve trarre in inganno, e certamente la non accattivante visibilità non deve distogliere dall’importanza del complesso edilizio, che sorge ai piedi del castello e della corte ducale,e che a sua volta domina le case di corso Umberto,costruite durante l’occupazione spagnola,e di concerto quelle di epoca più tarda del sottostante Trappeto.
Scorcio del Trappeto all’indomani del terremoto del 1930 Sullo sfondo si notano la Chiesa del Carmine 1400 e il palazzo Stiscia con la Torre di epoca Normanna (Foto Archivio Palazzo Stiscia) A proposito del Trappeto,va fatta una considerazione storico-urbanistica e architettonica, spec che, al contrario di quel che si pensa,! ‘andamento costruttivo a gradoni è avvenuto in senso inverso a quanto logicamente pensabile,seguendo la direttrice dall ‘alto verso il basso. Questo è rilevabile dalla antichità dei manufatti e delle costruzioni,frutto del costante aumento della popolazione, nonostante fenomeni epidemici(peste,colera) e tragici ( guerre,terremoti))e dalla necessità di conquistare nuovi spazi abitativi a ridosso delle mura medioevali e dell ‘argine difensivo naturale (Fosso Palumbo). Sempre in riferimento al Trappeto(dove si trasformano le olive-Frantoio), va considerata la natura socio-economica dell’intera zona,dove dimoravano buona parte dei 6000 montecalvesi,con un indice di abitabilità altissimo,ma con uno straordinario e organizzato sistema di vivere civile,assimilabile ad un formicaio. Infatti, nei secoli,si era andata affinando la tecnica per la regimentazione delle acque piovane,con un geniale utilizzo dello stillicidio sia come approvvigionamento che come irrigazione,come pure la tecnica di areazione dei locali e il micro clima che scaturiva dall ‘azione combinata del luogo esposto a mezzogiorno per l’intero arco della giornata e dal tufo il cui pregio edilizio ci proviene dalla cultura araba e normanna. Altro ingegnoso esempio ci viene dal naturale fenomeno dell ‘Acqua ndrianella (Acqua arenella) che de cantava naturalmente in cavità tufacee operate dall ‘uomo,che andavano a sfruttare e a regolamentare la naturale trasudazione della terra,non ultimo lo sbalzo di temperatura che condensava / ‘umidità in acqua, rendendo possibile una costante,seppur minima riserva d’acqua in casa. L ‘economia,come si diceva,era molto simile a quella di un formicaio, con una intensa attività artigianale e di manutenzione in sito, e una costante massiccia attività esterna degli operai (braccianti e contadini) che uscivano giornalmente dal Trappelo-Formicaio,per le attività di approvvigionamento, Le case del Trappeto,seppur in piccolo,rievocano le strutture organizative delle case palazziate,prevedendo all ‘interno vani e ricoveri per ogni tipo di masserizie e per le bestie,fonti di sostentamento del nucleo familiare e denaro suonante in caso di necessità. In questa realtà economicamente avanzata e per certi versi comunarda, andavano a inserirsi ,con una intelligente gradualità, i Forni per la cottura de/pane. I fornai di un tempo,non vendevano quasi mai ilpane,si limitavano afittare il forno che veniva alimentato quasi esclusivamente con fascine (fascitielli) di arbusti di ulivo,frutto della potatura,arbusti particolarmente votati alla bruciatura nel forno a laterizio,per il profumo che rilasciavano e per la naturale componente oleosa (specie delle foglie) che assicurava un profumo intenso e appagante al pane,rigidamente ammassato con farina di grano duro,acqua,sale e crescente (pasta madre). Sul pane,sul tipo di forno e sulle varie tecniche e tipi,si è gia detto più volte,e fortunatamente la tradizione è talmente viva e vegeta,che non rischia di scomparire,anche perché Il Ministero delle Politiche Agricole a seguito di apposita istanza del Comune di cui il sottoscritto è stato Istruttore e Relatore,nonché responsabile del procedimento, con propria Decretazione ( D.M. 18/7/2000) ha riconosciuto al “Pane di Montecalvo” la caratteristica di prodotto agroalimentare tradizionale, inserendolo a buon titolo tra le paste alimentari italiane e campane, insieme alla Pizza,al torrone e alla pasta di Gragnano. Il Palazzo Capozzi ( successivamente passato ad altri proprietari) ha ospitato nel secolo scorso un uomo che per il proprio straordinario impegno di maestro elementare e di letterato, fu insignito dal Ministro Della pubblica Istruzione della Medaglia d’Oro al merito per i grandi servigi resi al Regno d’italia. Questo straordinario e misconosciuto letterato era il Cav. Mariano Barile,nato a Montefalcione il 28/5/1857 ,insegnante elementare in Montecalvo dove visse l’intera sua esistenza,convolando a giuste nozze con le signore D’Addona Gesuela,e di poi vedovo con la signora Bufano Amelia,spegnendosi tra gli onori della popolazione il 23/4/1940. Ancora un cittadino da ricordare,tra i tantissimi relegati all’oblìo. Ancora una volta si ripresenta il caso del”nemo profeta in patria”,forse per la straordinaria abbondanza che ne rende quasi inutile il ricordo. Beati quei paesi che hanno un solo eroe,perché quanto meno ne sanno far tesoro! Montecalvo,ha avuto la sventura di avere avuto troppi ingegni, che hanno normalizzato la stessa genialità,non è un caso che San Pompilio Mania Pirrotti,è pressoché sconosciuto ai suoi concittadini,che ne ricordano solo il nome,non avendo conoscenza di null’altro che non un vicendevole accostamento con i festeggiamenti augustali,ricchi di luminarie,e dì un godereccio ricordo di un cantante di grido ,inebriato dal profumo di una ardente salsiccia. Montecalvo Irpino 4 Agosto 2006 Dott.Antonio Stiscia
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