Alfonso Caccese – Mario
Sorrentino
LA
COMUNITA’ ROMANA DI TRESSANTI
PRESENTAZIONE
Raccogliamo e pubblichiamo questi
due scritti così come essi sono
stati redatti e lanciati nel vasto
iperspazio del Web tramite il sito “Irpino.it”.
Scritti che registrano quasi alla
lettera, oltreché i primi appunti,
anche i dialoghi e i discorsi tenuti
prima di tutto tra noi due autori e
poi tra noi con altri amici, durante
i sopralluoghi nel territorio di
Tressanti di Montecalvo, nell’agosto
2003. Segnatamente con Gianbosco M.
Cavalletti, Franco D’Addona e Franco
Cardinale. La genesi del primo scritto (“Anzano”)
è presto detta. Nell’udire un giorno
un certo nome, “Anzano”, uno di noi,
modesto praticante di linguistica
diacronica e di toponomastica, sentì
nel suo orecchio uno squillo di
campanello.
Il proseguimento potrete trovarlo
nel primo capitolo della Parte
Prima.
Nacque così la formulazione
dell’ipotesi principale della nostra
ricerca. Poi, il linguista, mentre
andava a spasso per campi arati in
quel di Pratola di Tressanti,
inciampò (letteralmente), e così
successe anche agli amici ricordati
sopra che erano con lui, in una
miriade di reperti sparsi tra le
zolle. Il linguista, a quel punto,
fu sospinto ad invadere il terreno
alieno dell’archeologo e , più
tardi, anche quello dell’epigrafista
latino. Ha fatto bene?
Lui crede di aver soltanto supplito
alla palese incuria di altri
specialisti, forse più fortunati di
lui quanto a residenza prossima ai
luoghi, ma , molto probabilmente,
meno curiosi e amanti della comune
terra d’origine.
Noi, per un certo verso, abbiamo
raccolto il testimone passatoci dai
benemeriti nostri antenati, i quali,
a partire da poco prima della fine
del XVIII sec. (Settecento) e sino
ai primi decenni del XX (Novecento),
trovarono, decifrarono e
denunciarono alle autorità preposte
dell’epoca il dissotterramento, a
Piano di Anzano e dintorni, di
tanti reperti che noi, in vena di
scrivere in modo ricercato, abbiamo
chiamato “reperti litici
impreziositi da iscrizioni”.
Monumenti parlanti che sarebbero
diventati subito muti se non fossero
stati registrati, dopo la
segnalazione dei ritrovatori, nel
Corpus Iscriptionum Latinarum (C.I.L.)
(v. Vol. IX, registr. con i nn.
1421, 1423, 1431,1434,1446, e altri
meno importanti), raccolta edita dal
grande Theodor Mommsen.
I nomi dei benemeriti nostri
antenati che ritrovarono le lapidi
con le epigrafi latine sono: il
dott. Gaetano Rèndisi (ep. N. 1421,
su “Mefiti solvit”), l’arciprete
Donato D’Agostino ( ep. n. 1423),
Carlo Pizzillo (ep. n. 1434),
Giuseppe Pizzillo ( ep. n. 1446),
Nicolamaria Lanza (ep. non repertata
dal Mommsen, su “Ofillia
Quintilla”). (v. APPENDICE)
Ma, ai nostri giorni, dove e in
quale stato sopravvivono le suddette
lapidi?
Una è diventata lo scalino
risagomato e scempio di uno
scantinato di palazzotto in rovina
(la n. 1431), un’altra
l’incastonatura di un muretto di
giardino (la n. 1446) (per lustro o
informazione ai passanti?), un’altra
il coperchio di una testa di fontana
a Pratola (non registrata). Quest’ultima,
almeno, è rimasta in prossimità del
sito originale anche se esposta alle
intemperie (vi si parla di un certo Q. F. Rufus, probabilmente Q.
Pompeus Q. f. Rufus , console
collega di Lucio Cornelio Silla
nell’88 a.C.?). Altre,
formuliamo questa pia e speranzosa
ipotesi, saranno forse depositate
negli scantinati di qualche museo
delle nostre parti, in attesa di
essere studiate. Volete sapere come terminano quasi
tutte le annotazioni latine apposte
dai curatori del C.I.L. alle
registrazioni delle lapidi di
Tressanti?
“Frustra quaesivit Dressel”.
Cioè, “Inutilmente ne andò in cerca
Dressel”. Dressel era uno studioso
tedesco collaboratore di Theodor
Mommsen, il curatore di quell’immensa
e quasi esaustiva raccolta di
iscrizioni latine ovunque trovate
nel vasto spazio su cui si espanse
la romanità.
Be’, noi crediamo di avere cercato
umilmente sulle orme del Dressel le
nostre lapidi, ma, speriamo, non
inutilmente, come accadde a lui.
RINGRAZIAMENTI
Ci sentiamo di ringraziare tutti i
residenti di Pratola e dintorni i
quali si sono detti certi che lì in
passato esisteva “un paese”.
Ringraziamo specialmente
l’informatore Agostino Lo Conte (Zi’
Austine), il quale oltre a
comunicarci che il termine Anzano è
ancora usato è andato anche a
verificarlo presso altri residenti
di Tressanti. Ringraziamo anche
alcuni componenti della famiglia
De Furia di Tressanti i quali ci
hanno indicato con precisione il
confine in direzione di Pratola de La Macchia di Anzano. Altri
membri della famiglia
Lo Conte ci hanno indicato la
piccola altura denominata Casa di
la Corte e la presenza, a
livello di scantinato di nuove
costruzioni, di basolati.
Una conferma sulla dispersione di
alcune importanti lapidi con
epigrafi provenienti da Tressanti è
stata data (a me M.S.) da
Gianbosco Cavalletti e da Franco D’Addona.
Angelo Sorrentino mi ha messo (me
M.S.) in contatto con
l’informatore più importante:
Agostino Lo Conte (Zi’ Austine). Franco
Cardinale ci ha dato un’importante
aiuto accompagnandoci a Macchia di
Anzano e realizzando molte foto che
corredano questa pubblicazione.
Grazie anche a Franco D’Addona che
ci ha dato una preziosa ed
importantissima foto. Ringraziamenti
anche a Roberto Padrevita, perché è
stato lui a parlarci del feudo degli
Anzani di Ariano, indicandocelo dal
terrazzo del Museo archeologico di
Ariano Irpino, che lui dirige e si
trova proprio nel palazzo Anzani.
A.Caccese – M. Sorrentino
PARTE PRIMA – “ANZANO”, di M.
Sorrentino
Cap. I - Ipotesi sul nome
della comunità romana
Ho
trovato sul sito “Irpino.it” di
Montecalvo Irpino, curato
egregiamente da Alfonso Caccese,
l’informazione sul ritrovamento,
come possiamo dire?, non abbastanza
recente (si tratta del 1911), di un
cippo funerario romano a Piano di
Anzano, in località Tressanti di
Montecalvo. Per quanto abbia
cercato, mi pare che, da allora e
sino ad oggi, quel ritrovamento così
importante non abbia suscitato echi.
OFILLIA QVINTILLA HAVE ET TU QVI
LEGIS HAVE
SI NON FATORVM PRAEPOSTERA IVRA
FVISSENT MATER IN HOC TITVLO
DEBVIT ANTE
LEGI.
Bellissimo, commovente epitaffio. E
il benemerito e fortunato
ritrovatore, il quale provvide
subito ad informare gli studiosi
dell'epoca, fu Nicolamaria Lanza,
nostro compaesano. Si tratta di una
ragazza sfortunata, forse morta di
parto (il suo primo, evidentemente,
se non poté essere chiamata madre).
Traduco letteralmente: “Salve Ofilia
Quintilla / e salve anche a te che
leggi. / Se i fati non fossero stati
stravolti / si sarebbe dovuto
leggere madre / a capo di questo
epitaffio.” Ma il mio interesse si è acceso per
un altro particolare della notizia.
Il nome
Anzano. Conosco
quella zona per averla visitata
insieme ad Angelo M. Siciliano. Vi è
un pianoro che è stato senza dubbio
la sede della centuriazione romana
di quelle terre, che mi sembrano
particolarmente fertili. Il primo
ragionamento deve essere questo: se
c’era una necropoli, e una necropoli
con epigrafi in lingua latina colta,
lì a ridosso c’era anche una
cittadina romana. Peccato però che
quelli della necropoli e gli altri
reperti siano stati dispersi e
dimenticati.
Si sa che Silla, dopo la definitiva
sconfitta dei sanniti e dei loro
alleati, alla fine della Guerra
Civile, nell’ 82 a.C., lanciò una
vera e propria pulizia etnica
ante litteram della tribù irpina,
facendo trucidare tutti i maschi,
inclusi i vecchi e i bambini, prima
di colonizzare forzosamente questo
nostro territorio. Distrusse Aeclanum sannita e la riedificò
romana, fondò allora, o altri romani
fondarono subito dopo, Ariano,
Savignano e Corsano (stando soltanto
nel nostro attuale circondario) e,
evidentemente anche un’altra
cittadina, nella zona che
attualmente si chiama Tressanti. Il
nome Anzano suona bene in
concomitanza con gli altri che ho
elencato prima. Sospetto che Anzano
sia stato il suo nome originale, se
non è stato dato da un cognome di
proprietario dei campi coltivati in
quel posto, in tempi più recenti. Ma
mi sembra improbabile, anche perché
eventuali cognomi simili potrebbero
derivare dal nome della comunità
romana e non inversamente (Alfonso
Caccese ha accertato che nei paraggi
vi sono dei cognomi nella forma “Anzani”,
ma Anzani è precisamente un genitivo
che potrebbe indicare la provenienza
della famiglia da un posto che nella
forma latina, al nominativo, era Antianus>*Anzanus).
Nel battezzare nuove centuriazioni o
colonie, i romani usavano quasi
sempre il nome proprio ( per
l’esattezza il gentilizio, o nome
tratto da quello della gens)
del console, del comandante o di
altro personaggio illustre che
prendeva possesso della quota più
importante della lottizzazione.
Mettiamo: Arrius, Sabinius,
Curtius, ne ricavavano
l’aggettivo prediale, cioè indicante
il possesso del territorio assegnato
(ager) e ne veniva fuori
Ager Arrianus, Ager Sabinianus, Ager
Curtianus, poi diventati Ariano,
Savignano, Corsano, con la caduta,
per sottinteso, di Ager. E
Anzano? Da Ager Antianus,
che voleva dire Ager di Antius, nome gentilizio romano.
Come si vede, sto formulando
un’ipotesi argomentata sul nome
originale della cittadina romana che
si trovava a Tressanti. Una
ricostruzione che mi sembra
solidamente fondata sul principio
ben presente agli studiosi di
toponomastica che possiamo chiamare
resistenza nel tempo dei nomi di
luoghi, resistenza che perdura anche
dopo la scomparsa delle comunità
designate da quei nomi. Anzano
potrebbe essere perciò un relitto
linguistico, che fa il pari con il
cippo trovato da Lanza, su un piano
solo apparentemente più solido. Il
nome ha sfidato i secoli, se
esisteva ancora nel 1911 (non so se
sopravvive tuttora in bocca ai
residenti del posto).
Una prova di raffronto è data
dall’esistenza nella toponomastica
italiana di due paesi ancora abitati
che hanno lo stesso nome: Anzano di
Puglia (detto Irpino, sino al 1862),
in provincia di Foggia, e Anzano del
Parco, in provincia di Como. Questi
due toponimi sono stati ricostruiti
da noti studiosi come Olivieri per
Anzano del Parco, e da Schulze e
Rohls, per Anzano di Puglia (v.
Dizionario di Toponomastica Italiana,
Utet, Torino, 1990.).
Al confronto con Anzano il nome del
nostro Comune capoluogo, Montecalvo,
sfigura un po’, almeno per quanto
concerne l’antichità e la
correlazione al nome storico di un
fondatore. La mia ipotesi,
raffrontata sempre a studi di
toponomastica ben fondati, è che
indichi una comunità a cui non è mai
stato dato un nome diverso da quello
puramente geografico e descrittivo
dell’aspetto fisico del luogo. Forse
ciò è dipeso dal fatto che la nostra
comunità fu formata da gente che
arrivava alla spicciolata, in fuga
da eventi bellici o altri disastri,
come terremoti, pestilenze o altro,
gente di provenienza diversa, che
cercava protezione all’ombra del
castello normanno, dopo il Mille
(ciò non esclude una data di arrivo
anteriore per i primi gruppi) e a
mille e più anni dalla fondazione
della comunità che mi piace
senz’altro chiamare Anzano.
Sempre su Montecalvo c’è da dire che
di posti chiamati così ve ne sono a
bizzeffe in Italia. E meno un altro
paio di comuni, tutti posti
spopolati e brulli. Uno, Monte
Calvello, guarda addirittura i
montecalvesi da sopra Casalbore. Un
altro è nei paraggi di Benevento. Un
altro ancora è nella Daunia. Ve ne
sono alcuni che anziché monti si
chiamano pizzi ma sono sempre calvi.
Sono nella quasi totalità luoghi
disboscati in varie epoche per
fornire legname per la costruzione
di flotte romane (v. oltre il
Cap.III di questa Parte Prima), per
ottenere pascoli (e in questo caso,
anziché al taglio, si ricorreva
all’incendio del bosco), per la
ripresa delle coltivazioni dopo il
Mille, ecc.
Peccato, perciò, che mai nessuno
abbia pensato di dare al nostro
paese un vero e proprio nome. Il
motivo fondamentale probabilmente è
stato che la gente che gradatamente
lo fondò veniva da comunità diverse,
aventi diversi nomi, e nessun gruppo
poté prevalere al punto di spuntarla
con il dare alla nuova comunità il
proprio nome di provenienza.
Queste mie sono ovviamente ipotesi,
per quanto argomentate. Ma
dimostrare che sono infondate è
altrettanto difficile che dimostrare
il contrario. (Bologna, 2 luglio 2003)
Cap. II – Conferma dell’ipotesi sul
nome.
Dopo vari sopralluoghi fatti da me e
dall’amico Alfonso Caccese, come
anche da me in compagnia di
Gianbosco M. Cavalletti e Franco D’Addona,
sul luogo di Tressanti chiamato dai
residenti Pratola, sono
giunto alla conclusione che
l’ipotesi sul nome originale della
comunità romana – Anzano – sia
fondata su dati oltre che di
linguistica storia (v. supra
Cap.I “Ipotesi…”), anche di
geografia paesaggistica e di
urbanizzazione antica. Pratola è un pianoro di circa
800 mt. di lato, diviso in quarti da
un incrocio ortogonale di vie di
campagna, probabilmente
corrispondenti ancora oggi al
decumano e al cardo massimo di un
insediamento romano. (Ad onor del
vero uno dei bracci della croce è
segnalato soltanto dalla diversità
colturale degli appezzamenti).
L’orientamento delle due vie, non
essendoci stato possibile
verificarlo con strumenti quali
bussola o altro, ci è sembrato non
esattamente quello classico degli
accampamenti e delle centuriazioni
romane, cioè EST-OVEST e NORD-SUD.
Con approssimazione a occhio
sembrerebbe NORD/EST – SUD/OVEST e
SUD/EST – NORD/OVEST. Ma non ci
sentiamo di escludere un valore
molto più vicino all’orientamento
classico di quello che ci è parso a
noi. Notoriamente in molte
urbanizzazioni i gromatici ( gli
agrimensori romani ) adattarono lo
schema classico alla giacitura dei
suoli.
Dall’informatore residente sino a
poco tempo fa in zona, sig. Agostino
Lo Conte, ho appreso che sia i suoi
genitori che altri agricoltori
vicini di Tressanti usarono e ancora
usano il toponimo Macchia di
Anzano. Questa informazione,
oltre che essere stata confermata
allo stesso Lo Conte dai suoi ex
vicini della campagna di Tressanti
durante un suo giro di visite fatto
appositamente per noi, è stato
confermato direttamente a me stesso
da un componente della famiglia De
Furia residente precisamente nel
luogo indicato con il suddetto
toponimo. Macchia di Anzano è
ancora usato per indicare il costone
che confina verso sud con il pianoro
da noi ritenuto il sito
dell’insediamento romano e che
attualmente viene denominato Pratola. Pratola indica chiaramente
che il luogo era coperto in una
certa epoca da prati (Pratola
da “pratula”- Nom. pl. di “pratulum”)
Per me, lo è stato presumibilmente a
partire dall’abbandono della città,
a causa di un evento o serie di
eventi che ci sono sconosciuti, e
sino ad epoca relativamente recente
( seconda metà del Settecento),
allorché il terreno è stato
dissodato di nuovo per la
coltivazione con aratri tirati da
pariglie di buoi. I prati
ricoprirono i ruderi della città e
il nuovo toponimo prese il posto di
quello classico, ma l’aratura a
scasso profondo fece riaffiorare,
anche se distruggendoli e
disperdendoli, i manufatti civili
dell’insediamento. A testimonianza
di ciò da allora sono stati fatti
numerosi ritrovamenti di lapidi,
laterizi, terraglie (lucerne ad
olio, giocattoli di terracotta,
ecc.) della città antica rimasta a
lungo sepolta sotto i campi a
pascolo. E i frammenti minuti di
tali manufatti ancora affiorano e
restano visibili tra le zolle di Pratola. Come ci ha testimoniato
un agricoltore della zona, che stava
appunto arando col trattore durante
un nostro sopralluogo, ancor oggi
non è possibile fare l’aratura a
scasso profondo oltre i 60 cm.
Perché oltre tale profondità cessa
la terra nera e soffice e il vomere
viene impegnato duramente da pietre
da costruzione e laterizi. La
sopravvivenza del toponimo soltanto
orale Macchia di Anzano
costituisce secondo me una prova più
che certa dell’esistenza del nome Anzano, anche se l’espressione
per intero si riferisce ad una zona
contermine a sud del pianoro su cui
sorgeva la comunità. Con buonissima
probabilità nel termine Macchia
resiste il ricordo tradizionale del Saltus (qui, bosco in quota)
che sovrastava l’area coltivata e
urbanizzata, secondo l’opposizione
funzionale ben nota ai paesaggisti
storici di Ager/Saltus.
Fortunatamente, come attestano le
trascrizioni latine raccolte nel
Corpus Iscriptionum Latinarum, è
rimasta una traccia certa dei
ritrovamenti in loco dei
reperti litici impreziositi da
iscrizioni. Purtroppo tali reperti
risultano quasi tutti scomparsi o
adibiti a usi, a dir poco, impropri
(v. supra Presentazione). Una menzione a
parte merita la sorte di una lapide
trovata a Tressanti, il cui
epitaffio è stato registrato nel
suddetto C.I.L. vol.IX, con
il n. 1431. Commissionato da un
certo C. Babidius Niger, in memoria
della sorella e della moglie morte
giovanissime, sopravvisse nella
forma irrimediabilmente mutila, e
come scalino di scantinato:
“…FRIA-Q-L-PHILUMINA
/ VIXIT-ANN…/ C-BABIDI…/
SOR…”
Mentre l’originale era la seguente:
BADINIA-C-L-PSYCHARIVM
VIXIT-ANN-XVI
FAFRIA-Q-L-PHILVMINA
VIXIT-ANN-XXVI
C-BABIDIUS-C-L-NIGER
SORORI-ET-VXORI-FECIT.
La presenza in posizione SUD/OVEST
di una eminenza del terreno che
potrebbe coprire dei ruderi
rilevanti viene denominata dai
residenti Casa di la Corte.
Secondo me (e spinto da una
intuizione di mia figlia Angela)
potrebbe trattarsi del presidio
militare fortificato.
La nostra ricostruzione fa risalire Corte a cohors-cohorsis…-cohorte(m).
(Montecalvo Irpino, 24 agosto 2003).
Cap.III – Il fondatore, Anzio
Restione.
Il fondatore di Anzano. Con
buonissime probabilità basate su
informazioni storiche scritte di
quel periodo (I° sec. a.C.) potrebbe
essersi trattato di Antius Restio
(-nis) o di suo figlio omonimo, C. Antius Restio. Il primo Antius era del partito di Silla
nella Guerra Civile, la quale finì
oltre che con la sconfitta di Mario
e dei soci italici, ( che ancora
resistevano ai romani dalla fine
della Guerra Sociale – 89 a.C. )
anche con la definitiva conquista
del Sannio, in generale, e dell’Irpinia,
in particolare. Anzio Restione era
della Gens Antia, originaria
della città di Anzio, famiglia
diventata senatoria del partito
patrizio capitanato da Silla, e ciò
non esclude che egli abbia
partecipato alla spoliazione dell’Irpinia
da parte dei vincitori.
Probabilmente fondò sia l’attuale
Anzano di Puglia che il nostro
Anzano ubicato nell’attuale Pratola
di Tressanti. Creare nuove colonie,
e per giunta in territorio di ex
nemici non del tutto pacificati, non
veniva affidato al primo venuto. In
seguito sembra che il figlio di
Anzio abbia rotto con Silla o almeno
con il partito degli ottimati. Il
padre propose una legge “sumptuaria”
(questo genere di leggi erano
emanate contro il lusso e la
corruzione) in cui si proibiva ai
magistrati di partecipare a cene con
persone interessate all’attività
amministrativa o giudiziaria degli
stessi magistrati ( vecchia storia,
no?) (v. Gell. , N.A. 2,24,15).Il
figlio del nostro fondatore fu
lodato da Cicerone, sia pure con
allusione indiretta (IV, Ad Att.16)
e sembra che erigesse a suo padre
una statua, però a Cuma. Che la
famiglia abbia stabilito, dopo la
fondazione dei due Anzani del Sannio,
il suo centro in quella città?
Quante informazioni sono contenute
in un nome romano! Nel nostro caso,
specialmente nel soprannome. Per un
senatore sembra molto strano essere
soprannominato il “Cordaio”, o
Funaio, perché questo voleva dire “restio
– restionis…”
Guardiamo la cosa più da vicino. Un
discendente della Gens Antia,
famiglia proveniente da Anzio e
molto probabilmente sino a poco
prima abbastanza oscura perché
designata non da un nome personale
di capostipite ma soltanto da una
forma aggettivale di provenienza,
diventa ricco al punto che viene
accettato tra gli ottimati di Silla,
schierandosi con essi contro i
popolari di Mario (e i soci italici
che ancora combattevano contro
Roma).
Viene accettato prima lui e poi il
figlio omonimo nella classe
senatoria (v. Gell. 2, 24, 13
e VISCONTI, Iconogra. Rom.)
acquistando evidentemente lo
status superiore in quanto
cavaliere arricchito e per meriti
politici di partito. Bene, questo
senatore tollera e anzi trasmette al
figlio il soprannome di Cordaio.
Molto probabilmente, da vero
parvenu, ne era orgoglioso
perché attestava le sue capacità di
riuscita nella vita. Il mestiere di
famiglia in un porto importante
come Anzio era diventato una
attività di grande manifattura.
Aveva permesso alla famiglia un
rapido arricchimento con la
fornitura di cordame alle flotte
militari e commerciali che erano
varate in quel porto o lo toccavano
per viaggi e traffici. Quante
migliaia di navi costruirono,
usarono e distrussero i romani in
quel periodo in cui incominciava il
dominio pieno del Mediterraneo da
parte loro?
Delle vicende politiche del primo
Anzio Restione e di suo figlio ho
già parlato. Ora seguiamoli nella
loro opera di colonizzazione in
Irpinia. Poteva un grande
imprenditore navale quale era molto
probabilmente Anzio Restione,
ritrovandosi in un territorio
collinare ricco di boschi primigeni,
quale doveva essere l’Irpinia di
allora, poteva questo armatore
senz’altro un po’ furbacchione,
disinteressarsi dello sfruttamento
dei boschi per il fabbisogno
crescente di legame per navi? Che i
boschi fossero rimasti sino ad
allora intatti era dipeso dal fatto
che i nostri antenati irpini si
servivano di essi soltanto per
raccogliere legna da ardere,
allevare maiali allo stato brado,
adorare la dea della quercia Kerres (cfr. le tavole votive di
Agnone), e per poche altre attività
di sfruttamento primitivo, quando
non li distruggevano con gli incendi
per favorire l’espansione dei prati
da pascolo.
La nuova colonia era una miniera
d’oro proprio per i suoi alberi,
grandi alberi centenari di cui
difficilmente oggi possiamo farci
un’idea, con sotto gli occhi la
misera vegetazione delle nostre
zone. Per averne un’idea, basta
visitare la foresta Umbra del
Gargano. L’ipotesi che i
colonizzatori si siano arricchiti
con gli alberi dei boschi vicino ad
Anzano potrebbe spiegare il relativo
benessere segnalato dal fatto che lì
venissero commissionate lapidi
costose per i defunti ed altro.
Restano del resto attestati molti
gentilizi illustri sulle lapidi
superstiti. Il taglio sistematico
degli alberi d’alto fusto, oltre a
spiegare l’origine dei tanti “montes
calvi” della zona (v. Cap. I),
spiega anche il relativo abbandono,
quasi desertificazione, dei nostri
monti più alti privati dei boschi.
Credo, inoltre, che non possa
esserci dubbio che quei fini e
cavillosi giuristi che erano gli
amministratori romani non abbiano
tralasciato di aver definito
giuridicamente la destinazione d’uso
del terreno boscoso e che
delimitandolo come Ager o Saltus Publicus ne abbiano
consentito lo sfruttamento da parte
dei privati contro il pagamento di
tributi al Fiscus. “Calvus”
era molto probabilmente il suggello
ufficiale che attestava il
definitivo disboscamento del monte o
colle così designato. Ipotesi queste
nostre, ma ragionate e appoggiate
alle poche tracce documentarie
scritte riguardanti il nostro
territorio fuori mano. La Gens
Antia si ritirò a Cuma, dove il
figlio fece fare al padre una statua
di cui dovrebbe esserci traccia da
qualche parte (v. VISCONTI,
op. cit.) forse perché iniziava la
stagione dell’erezione di vaste villae da parte dei romani
ricchi nei bei posti della Campania
vicini al mare. Le ville, da grandi
aziende agricole che erano
all’inizio, diventarono ben presto
luoghi splendidi e lussuosi per la
villeggiatura e i piaceri. Ma anche
in questo caso, come si sa, a
sostegno dei piaceri doveva esserci
un’intensa produzione agricola
specializzata, oltre che una
produzione artigianale, affidata a
ciurme di schiavi. Gli schiavi
romani, gli antichi antenati dei
servi del Medioevo. Ma questa è
un’altra storia.
PARTE
SECONDA
LA
VIABILITA’ COEVA AD ANZANO
- di Alfonso
Caccese
Cap.I
- Da Roma a Benevento.
L’immagine (1) costituisce lo schema
storico geografico di quanto
esporrò nelle righe seguenti. Esso è
un triangolo ai cui vertici sono
localizzati i centri più importanti
per la nostra esposizione: Malventum
– Aeclanum – Aequum Tuticum.
Lo studio del territorio e
l’intreccio degli antichi percorsi,
che tra “selle e valli”,
s’inoltravano nella nostra zona, è
di fondamentale importanza per
determinare l’esistenza
d’insediamenti Romani, alcuni già
conosciuti altri da riscoprire,
tanto da farne uno dei punti più
importanti geograficamente a Sud di
Roma. Si hanno notizie storiche, di
numerose altre civiltà che si sono
sviluppate e succedute, intorno alle
rive di questi fiumi e delle valli,
già dal quarto millennio a.C .
Etruschi, Oschi e Sanniti - Irpini,
nelle varie epoche, hanno lasciato
copiose tracce delle loro civiltà.
Prima strada d’importanza massima
che arriva nel nostro territorio è
la Via Appia Antica. Fu la prima e
la più importante tra le grandi
strade costruite da Roma. Chiamata a
buon diritto la "regina viarum",
essa nacque alla fine del IV secolo
a.C. per mettere in diretta e rapida
comunicazione Roma e Capua. L'anno
di nascita della strada fu il 312:
quello in cui fu censore a Roma,
Appio Claudio il Cieco, il censore
che la fece costruire lasciandole il
proprio nome. L'ideazione seguì un
piano di concezione
sorprendentemente moderno, che
lasciava da parte i centri abitati
intermedi ( provvisti però di giusti
raccordi ) e mirava diritto alla
meta. La via fu perciò realizzata,
superando grosse difficoltà
naturali, come le Paludi Pontine,
con importanti opere d'ingegneria.
Il primo tratto, fino a Terracina,
era un lunghissimo rettifilo di
circa 90 chilometri, di cui gli
ultimi 28 fiancheggiati da un canale
di bonifica che consentiva di
alternare il tragitto in barca a
quello sul carro o a cavallo. Dopo
Terracina, la strada deviava verso
Fondi, quindi attraversava le
impervie gole di Itri e scendeva a
Formia e Minturno. Superata poi
Sinuessa (l'odierna Mondragone), con
un altro tratto rettilineo puntava a
Casilinum (l'odierna Capua), sul
Volturno, donde raggiungeva l'antica
Capua (oggi S.Maria Capua Vetere).
Il percorso totale era di 132
miglia, pari a Km. 195, e si
effettuava normalmente con
cinque/sei giorni di viaggio. Ed è
proprio in quegli anni (278 a.C.)
che Appio Claudio, avendo aperta,
per scopi innanzitutto militari, la
Via Appia, tuonava in senato contro
la pace con Pirro, sconfitto
definitivamente nel 275 a.C., a
Maleventum , dove nel 268 a.C, i
romani stabilirono una colonia di
diritto latino col beneaugurante
nome di Benevento. La conseguenza
fu un'ulteriore e definitiva
espansione di Roma nel Mezzogiorno,
e la Via Appia fu più volte
prolungata. Dapprima, subito dopo il
268 a.C. fino a Benevento, poi di là
dell'Appennino, fino a Venosa e
quindi a Taranto. Finalmente, nel II
secolo a.C. fu condotta fino a
Brindisi, porta dell'Oriente.
Cap.II - Da Benevento ad Aeclanum
Sulla continuazione dell’antica “Via
Appia”, nella “ Valle Ufita
Fiumarella”, percorsa dalla “Via
Aurelia Aeclanensis”, confluente a
Herdoniae nella via Traiana, è
situata “Aeclanum”.
Partendo da Benevento cosi il
poeta Orazio,( Le Satire, Lib.I, V)
nel suo viaggio “da Roma a
Brindisi”del 37 a.C.si esprime:
”
Incipit ex illo montis Apulia notos
ostentare mihi, quos torret Atabulus
et quos nunquam erepsemus, nisi nos
vicina Trivici villa recepisset
lacrimoso non sine fumo, udos cum
foliis ramos urente camino”.
“A quel punto cominciano a
mostrarsi i monti a me ben noti
dell'Apulia, che sono bruciati dallo
scirocco e che mai noi avremmo
valicati, se non ci avesse ospitato
un casale vicino a Trevico e tutto
pieno di fumo da farci lacrimare,
perché il focolare bruciava ramaglie
umide e foglie”.
Aeclanum, città sicuramente
sannita, in seguito romanizzata dal
lento ma sistematico processo di
rimozione, nelle popolazioni sannite
(irpine), delle loro origini,
sostanziata nella “deductio
dell’Ager Taurisanus e della colonia
di Aeclanum, con la deportazione in
massa di un nucleo di “Ligures
Baebiani”costretti ad insediarsi nel
territorio sannita. Nell’82 a. C.
Silla, all’epilogo della Guerra
Civile, massacrò oltre 6.000
combattenti sanniti dopo la
battaglia di Porta Collina, e il
massacro continua in Irpinia (sino a
raggiungere una cifra stimata da
alcuni storici in 80.000 morti),
”scatenando una vera e propria
pulizia etnica ante litteram
della tribù irpina, facendo
trucidare tutti i maschi, inclusi i
vecchi e i bambini, prima di
colonizzare forzosamente il nostro
territorio. Distrusse Aeclanum sannita e la riedificò
romana, probabilmente risalente alla
stessa epoca la nascita di Ager
Arrianus, Ager Sabinianus, Ager
Curtianus
( Ariano, Savignano e Corsano).
Cap.III - Da Benevento ad
AequumTuticum
Il percorso della Via Appia antica,
dopo Benevento, diventata oramai
centro nevralgico di tutta l’Italia
peninsulare, fu però a poco a poco
sostituito da un itinerario
alternativo, più breve e più facile,
che attraversava tutta la Puglia
passando per Ordona, Canosa, Ruvo,
Bari ed Egnazia. Nei primi anni del
II secolo d.C. esso fu trasformato
in una vera e propria variante
dall'imperatore Traiano che le
aggiunse il suo nome. Essa
s’inoltrava tra i confini della
“valle del Calore” e la “valle del
Miscano”. Fiancheggiando il fiume si
snodava lungo i pendii sotto
Buonalbergo ( antica Cluvia )
e Casalbore, e costituiva, da
Benevento, la seconda parte
dell’itinerario
“ A Roma ad
Brundisum et Traiectum. Si
incrociava a monte di Buonalbergo e
Casalbore con la “Via Herculia” (
ramo superiore, da “Aufidena” ad
“Aequum Tuticum”), uno dei
centri Sannita più importante ed
antico, riconosciuto dal Mommsen
come il “Cardo viarum” a sud
di Roma più importante e per
l’“Itinerarium Antonini”( II°- III°
secolo d.c.), “terminale ed il
capolinea degli itinerari per esso
passanti”, lo storico
“Gran crocevia Centro – Meridionale”
.La Via Appia Traiana attraversava il
fiume in località S.Spirito. ( Il
ponte di S. Spirito, chiamato anche
Ponte del Diavolo, risalente al II
sec. d. C., si trova lungo il
tracciato della via Traiana, alla
confluenza del torrente Ginestra con
il fiume Miscano).
Con la nuova strada era possibile
andare da Roma a Brindisi in 13/14
giorni lungo un percorso totale di
365 miglia pari a poco meno di Km.
540. Ogni 7 o 9 miglia nei tratti
più frequentati (Km. 10/13) e ogni
10 o 12 miglia in quelli meno
importanti (Km. 14/17), si
allineavano lungo la strada. Le
stazioni di posta per il cambio dei
cavalli unitamente a luoghi di
ristoro e di alloggio per i
viaggiatori. In prossimità dei
centri abitati la strada era
fiancheggiata da grandi ville e
soprattutto da tombe e monumenti
funerari di vario genere. Dell'antica strada il tratto che da
Benevento, scavalcando l'Appennino,
conduceva a Venosa, è quello più
conosciuto. Il primo riferimento,
nella nostra zona, è il grandioso
Ponte Rotto, a dieci miglia
romane da Benevento in direzione di
Eclano, secondo quanto è segnato
nella Tabula Peutingeriana, la Via
Appia attraversava il Calore su un
ponte monumentale di cui ci restano
oggi le insigni vestigia nella
località denominata Ponterotto, nei
pressi dell’odierna Apice,
denominazione che deriva appunto dai
detti ruderi grandiosi,
superava il fiume Calore a nord di
Castello del Lago al quale si giunge
lungo strade campestri e giunge,
dopo aver superato i casali Piatto e
Petraro, sotto Mirabella Eclano, da
dove coincide con l'attuale Via
Appia . La Via Appia,
in questa località distava, (circa
quattro miglia), dal nostro Anzano e
questo spiega più che
sufficientemente l'importanza
dell'ubicazione di questa comunità.
Anzano era molto più importante dei
centri che saranno romanizzati nella
valle del Miscano, perché prima di
tutto sorsero almeno duecento anni
dopo e poi perché i rapporti
nevralgici per avviare le guerre con
Taranto e poi conquistare l'Epiro e
la Grecia passavano dal vecchio
tracciato. Del resto, se si pensa
all'importanza di Benevento e di
Eclano, si capisce che la
traiettoria più rapida era per la
valle dell'Ufita. Probabilmente
luogo d’importanza strategica per le
centuriazioni romane per il
controllo del territorio ed
interesse economico, per la presenza
di terreno fertile da coltivare e
boschi primigeni da sfruttare per la
produzione di legnami e tutto quello
connesso all’industria bellica
dell’epoca. Punto strategico anche
dal punto di vista del traffico
commerciale per la sua equidistanza
tra il Tirreno e l’Adriatico. Dall’Ager
Antianus, infatti, era facile
raggiungere Aecae (Troia) e
la colonia romana di Lucera per poi
dirigersi a sud verso Brindisi e a
nord verso Pescara
( Aternum ) e dall’altro versante,
raggiungere tutti i maggiori centri
esistenti a sud di Roma.
Cap. IV – Ipotesi finale
Ad avvalorare l’importanza della
cittadina da noi individuata è la
scoperta d’epigrafi tombali e non,
che testimoniano il passaggio e la
permanenza di famiglie gentilizie
romane . I riscontri e la
tipologia del luogo, cosi come
riscontrato dal Sorrentino,
ne rafforzano l’ipotesi.
Un’ipotesi, che potrebbe in qualche
modo, preludere ad un nuovo
ragionamento sulla nascita e sulla
popolazione che dopo alcuni secoli
avrebbe occupato il colle di
Montecalvo. L’”Ager Antianus”
è circondato dall’Ager Curtianus
(Corsano), a poca distanza da “Forum
Novum”,(vicus di FornoNovo ),
presso il rione Sant'Arcangelo,
oltre Paduli, separato
da crinali dalla “Valle Ufita
Fiumarella”, ed in direzione
Nord-Ovest, dal colle montecalvese.
Raggiungibile tramite un sentiero,
tutt’altro che impervio per
l’epoca, dopo circa un miglio, il
colle di Montecalvo, offriva un
ottimo punto d’osservazione di tutta
la “Valle del Miscano”, e per
ragioni prettamente difensive o
forse, per eventi catastrofici,
quali terremoti e quant’altro,
anche un ricovero sicuro alla
popolazione. In seguito disboscato,
per esigenze militari e commerciali,
diventa ”mons calvus “servirà ad
erigere una fortezza militare
difensiva, a difesa della “valle” le
cui tracce sono ancora riscontrabili
nelle antiche rovine del “ palazzo
ducale”. Con la caduta dell’impero
Romano, e l’avvento dei longobardi
inizia la fase di declino per queste
popolazioni costrette a riparare in
luoghi ove meglio difendersi dagli
invasori. E cosi anche per le genti
dell’“ager Antianus” inizia
l’emigrazione, e con molte
probabilità, insieme con altre genti
che risalivano la valle, si
arroccheranno in cima al colle di
Montecalvo dando origine ad una
nuova comunità che anche nel periodo
oscuro del Medioevo manterrà la sua
centralità rispetto agli altri
insediamenti diventati per lo più
centri di pastorizia o, addirittura
scomparsi nel nulla. Questo è
quello che, alla luce di
ricognizioni fatte con criterio
scrupoloso e documentato, crediamo
poter dare per certo, anche se la
presenza dell’uomo nella “valle del
Miscano”, potrebbe avere un’origine
più lontana nel tempo.
CONCLUSIONI
Gli autori sentono la necessità, nel
fare il punto alla fine di questi
due brevi studi – uno sul nome e sul
sito della comunità romana di
Tressanti, e l’altro sulla viabilità
che conduceva ad essa e da essa si
dipartiva – di esprimere il loro
convincimento su alcune realtà
incontrovertibili che nel corso di
queste loro ricerche sono venute
alla luce.
Primo, Anzano è la traccia
evidente della penetrazione e della
“demarcazione” romana dell’Irpinia a
partire dall’82 a. C.
L’urbanizzazione di Tressanti
sorgeva in un punto nevralgico lungo
la fascia di comunicazione che
partendo da Benevento e proseguendo
lungo le valli del Calore, dell’Ufita
e dell’Ofanto consentì ai Romani
-
di dividere in due il
territorio del Sannio, separando gli
Irpini rimasti ostili più a lungo
alla Repubblica di Roma (l’Irpino
Ponzio Telesino e il Lucano Marco
Lamponio minacciarono direttamente
Roma a Porta Collina, alla fine
della Guerra Civile (I° novembre
dell’82 a. C.), in un episodio di
guerra in cui i nostri antenati,
approfittando della guerra
fratricida tra mariani e sillani,
stavano per dare un colpo decisivo
ai loro nemici storici) dalle altre
tribù sannite del Nord e dai Lucani.
-
di raggiungere l’Apulia lungo
la direttrice di attraversamento
appenninico più rapida, sino alla
creazione della variante di Traiano
dell’antica Appia, nel 117 d.C.,
collegando Capua e Benevento, prima
di tutto ad Eclano, subito
ricostruita dai suoi distruttori e
conquistatori, e poi ai territori di
Lucera, Canosa, Taranto e Brindisi,
sino a prolungarsi logisticamente e
strategicamente con quell’altra
strada di penetrazione romana nei
territori macedoni e nel nord della
penisola greca verso l’Asia Minore
che era la
Egnatia;
-
di domare e pacificare con
presidi militari consistenti il
territorio degli Irpini mediante la
creazione di vasti
latifundia
affidati a importanti personaggi
della parte sillana dotati di vaste
risorse economiche e
imprenditoriali, quale probabilmente
era anche il nostro Anzio Restione.
Come si sa, questi latifondi hanno
segnato in seguito per tanti secoli
il destino agrario e sociale del
nostro territorio.
-
Sempre a questo proposito i
due autori ritengono che la
compresenza di due Anzani – uno nel
territorio di Tressanti (e
probabilmente all’inizio il più
importante come attestano il fatto
che si trovasse più vicino a Capua e
Benevento e soprattutto il
ritrovamento di reperti archeologici
più numerosi trovati a Tressanti e
attestati dalle iscrizioni nel C.I.L.)
e l’altro nel territorio dell’antico
Trevico – segnasse i due confini di
una vasta zona presidiata coperta da
boschi primigeni, la quale era
destinata a durare nella
toponomastica, sia dando nome alle
due urbanizzazioni suddette, che al
latifondo coperto da alberi, come è
traccia nel nome del feudo alle
pendici di Ariano appartenuto più o
meno sino al XVII sec. ad una
famiglia che significativamente si
chiamava “Anzani”. (Il cui palazzo è
oggi sede del Museo Archeologico di
Ariano Irpino). Dello sparuto lembo
di bosco sopravvissuto sino ad oggi
e chiamato dai residenti di
Tressanti Macchia di Anzano
abbiamo gà detto al Cap. II della
Parte Prima.
Secondo, giunti alla fine di
questo scritto, i due autori sperano
che esso possa essere soltanto il
primo di numerosi altri non
necessariamente redatti e editi
personalmente da loro, e si augurano
che si possa procedere con altri e
più ampi mezzi, come anche con
professionalità più specializzate e
ufficialmente competenti:
-
alla sistematica ricerca di
paesaggistica e topografia storiche
del territorio da noi individuato
come fondamentale per la viabilità
romana degli ultimi anni della
Repubblica e sino alla realizzazione
della variante apportata da Traiano
all’Appia antica, nel 117 d.C.;
-
la raccolta e la collocazione
sistematica pubblica, oltreché
decorosa, delle lapidi e degli altri
reperti archeologici trovati nel
territorio di Tressanti e dintorni,
oltre che ovviamente il loro studio
e la decifrazione delle epigrafi
incise sulle lapidi:
-
alla divulgazione anzitutto
alla popolazione di Tressanti della
conoscenza di questo nostro passato
storico importantissimo Sia detto
senza eccessiva boria e citando un
caro parente di uno di noi due, che
ultimamente negli Stati Uniti si è
preoccupato di rintracciare le
proprie radici, “Se non si sa che
cosa siamo stati non si sa nemmeno
dove stiamo andando”.
Ora che le condizioni economiche di
questa nostra contrada, sia pure più
vistosamente sul versate arianese
che in quello montecalvese, sembrano
essere tornate prospere, sarebbe un
vero peccato che le vestigia di
quella comunità che per noi si
chiamava ANZANO non venissero in
qualche modo rinverdite.
[1]
Latifundia che erano
per un certo verso una novità voluta
da Silla nelle centuriazioni
tradizionali, come scrive uno
storico inglese, Robin Seager (v.
THE CAMBRIDGE ANCIENT HISTORY,
The Last Age of the Roman Republic, Vol.IX, Ch. 6, Sulla,
pag. 204,
“Some areas
which had been hostile were
physically and economically unsuited
to the development of urban
communities, for instance Bruttium, Lucania and some parts of
Samnium. Here… Sulla supporters’
were allowed to amass large estates.
Apart from such grants, would-be
latifundists were often able to
acquire land illegally from the
veterans’ allotments, which were
supposed to be inalienable.”).
APPENDICE
Trascriviamo per comodità dei
lettori alcuni estratti di
registrazioni dal Corpus
Iscriptionum Latinarum, edito da
Theodor Mommsen, Lipsia, 1883. (v.
Vol. IX – XLII Aequum Tuticum S.
Magnum (propre Arianum) Forum Novum)
…
1421. Nel
tenimento di Montecalvo, nel luogo
detto S. Vito (quae aedicula est
propre Montecalvum Arianum versus
) vigna del dott. Gaetano Rendisi.
ANON.: “Inscriptio cum thesaurum
nullum indicasset, a fassoribus
iratis confracta est” (Mia nota: i
cercatori di tesori vedendo
che l’iscrizione non aveva svelato
alcun tesoro, ruppero la lapide)
PACCIA-Q-F / QVINTILLA / (me)FITI –VOT
/ (s)OLVIT
Era
conservata dal dott. Rendisi, ma gli
invidiosi di Montecalvo, canonico
Zupo e suo fratello, con decreto
estorto, gliela ànno fatta deporre
sulla pubblica via, ove è stata
slabbrata nel cantone destro, ed è
rimasto FITI OLVIT, in luogo di
MEFITI SOLVIT. O’ ottenuto che si
conservasse (Lupoli, 1973 – Vitale,
1794)
…
1423
– In planta pedis fictilis litteris
cavis, Montecalvi rep. extat ibi
apud archipresbyterum Donatum
d’Agostino.
Q-NOSTRI / SILVINI
…
1431 – Primo lapide a Montecalvo
Arianum versus rep. in loco q.d. Tre
Santi N.FALC. (Frustra quaesivit
Dressel)
BADINIA –
C-L-PSYCHARIVM / VIXIT-ANN-XVI /
LAFRIA-Q-L-PHILVMINA /
VIXIT-ANN-XXVI
C-BABIDIUS-C-L-NIGER /
SORORI-ET-VXORI-FECIT
…
1446 – Litteris elegantibus. Rep.
primo lapide a Montecalvo Irpino
Arianum versus in loco q. d. Tre
Santi, extat Montecalvi apud abbatem
Nicholaum Chiancone
H-M-S-S-E-F-C /
P-SALLVVIVS-P-F-RUFVS-ET /
M-SALLVVIUS-P-F-COGITATVS /
P-SALLVVIO-P-F-RVFO-PATRI-ET /
SALLVVIAI-P-L-ITALIAI-MATRI /
MEMORES-PIETATIS-FILI-PARENTIBUS
Recognovit Dressel – Iosepho
Pizzillo.
Altre
trascrizioni di epigrafi mutili
trovate nella nostra zona non le
abbiamo ritenute importanti per il
nostro scritto.
Bibliografia di riferimento
-
Corpus Iscriptionum
Latinarum, (C.I.L.), Lipsia 1883,
Vol.IX.
-
Totius Latinitatis Lexicon
– Onomasticon, Prato, 1859 – 1867,
Vol.I.
-
Dizionario di
Toponomastica, Utet, Torino, 1990.
-
PLUTARCO, Vita di Silla,
Utet, Torino, 1993, Vol VI.
-
AA.VV., Storia di Roma,
Einaudi, Torino, 1989, Vol.IV
“Caratteri e Morfologie”.
-
E.T.SALMON, Il Sannio e i
Sanniti, Einaudi, Torino, 1985.
-
J.-M. DAVID, "La Romanisation de
l'Italie", Flammarion, Paris, 1997
-
ORAZIO, Satire, Lib.I, V.
|
I visitatori dal 30/11/2002
fino ad oggi sono
|
6 Giugno 2004:
Presentazione
dell'opuscolo informativo sulla
"Comunità Romana di Tressanti",presso
l'Ente Rosa Cristini, per gentile
concessione del Parroco Don Teodoro
Rapuano con l'introduzione del
Prof.Alberto De Lillo, consigliere
d'amministrazione dell'Ente. Nel
fare una breve cronistoria di questa
struttura, dalla fondazione ad oggi,
il Prof.De Lillo si è soffermato
sulla nuova trasformazione della
associazione che dovrà essere nei
prossimi anni centro di cultura e di
recupero delle tradizioni popolari
montecalvesi e non solo. Con
l'augurio e speranza che la
presentazione di questo opuscolo
informativo sulla "Comunità Romana
di Tressanti" sia la prima di una
lunga serie di conferenze che tanto
potranno dare alla collettività,ha
ringraziato tutti gli intervenuti e
dato inizio alla conferenza.
Illustrazione del
tema della conferenza da parte di
Mario Sorrentino.
Momento di
incontro con gli intervenuti alla
conferenza.
Il nostro collaboratore, Franco
D'Addona
Veduta di Montecalvo dalla
contrada "Pratola"
( Anzano)
Coordinate del cardo massimo nella
zona di pratola
Moneta antica di Antius Restio
Linea di confine del "Decumano di
Anzano"
Crocevia di Pratola
Caratteristica della
centuriazione
Momenti di ricognizione sul luogo
da parte dei nostri
collaboratori:Francesco Cardinale,
Mario Sorrentino.
Schema storico geografico della
Via Appia.
Epigrafe trovata sul luogo della
ricognizione.
Fontana di Pratola dove è ubicata
l'epigrafe.
Ruderi del ponte sul calore in
località Ponterotto
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