RACCONTI RELIGIOSI

LU PATRISUONNU1

La matìna di San Giuvannu, Mingu,
ca nun cridév‘a nniénti, tantu di lu suónnu
nun s’azàvu. La mamma lu chjamàva,
ca l’aspittàvunu andó mitévunu.
Lu sole èr’àutu e l’uórij’arrivàtu,
ca li spighi facévunu l’ancìnu.
Li miéruli cantavunu cu li cardilli.
Quannu Mingu s’azàvu, er’ancora
appagliaràtu e ghjètt’a mmète,
com’a nd’à nu suónnu. L’ati mititùri
l’assucchjàvunu e ssi pigliàvunu
la pizzicàta, picché ogni ttantu paréva,
ca cu la fàucia, ntànnu si la tagliava
la mani. L’era pigliatu lu Patrisuónnu
e, ppi cquaranta juórni e cquaranta notti,
durmètt sèmpe, ma fatijàva, e ogni ttantu capuzzijàva. Chi lu videva, n zi putéva
mantiné e s’acquagliàva di risa.
Da quiddr’annu, Mingu, fin’ a cché
ccampàvu, la matìna di San Giuvannu,
si vuttàva subbìtu da lu liéttu.

IL SONNO LETARGICO

La mattina di S. Giovanni, Mingo,
che non dava ascolto a ciò che si narrava in giro,dal sonno non si alzò. La madre lochiamava, perché era atteso dove altri erano già a mietere.
Il sole era spuntato da tanto e l’orzo era maturo,al punto che le spighe si piegavano.
Merli e cardellini cinguettavano.
Quando Mingo finalmente si sollevò dal letto,
era ancora assonnato e si recò a mietere,
come in un sogno. Gli altri mietitori
lo scrutavano attentamente e lo stuzzicavano
perché di tanto in tanto, sembrava che lui,
con la falce, fosse sul punto di tagliarsi
una mano. Era stato colto dal Sonno letargico
e, per quaranta dì e quaranta notti,
dormì continuamente, eppure lavorava, anche se,di tanto in tanto, barcollava. Chi l’osservava,
non riusciva a trattenersi dal ridere.
Da quell’anno, Mingo, finché visse,
quand’arrivava il giorno di S. Giovanni,
si svegliava e si alzava senza farsi pregare.

1 Il sonno letargico era collegato a S. Giovanni Battista, che si festeggia il 24 giugno.

Forse con questa leggenda si voleva indurre i fannulloni e soprattutto i giovani a non poltrire a letto, ma a levarsi presto la mattina, possibilmente all’alba, perché l’estate era ed è tempo di mietitura. Dato che in passato si mieteva a braccia con falcetto e cannìddri, quattro tutoli di canna per la protezione delle dita della mano sinistra che stringeva il mannello, era essenziale lavorare col fresco, prima che il sole, con la sua calura, rendesse quest’attività faticosa e insopportabile.

Mingo sta per Domenico.

Fonte: Mariantonia Del Vecchio, classe 1922, contadina; trascrizione, traduzione e annotazione di Angelo Siciliano del 1994


 

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